Trasformatevi in uno sconosciuto che si aggira per le strade della vostra stessa città.
— Brande Dorothea, Diventare scrittori, Sperling&Kupfer, Milano, 2008, pag. 28
Sembrerà banale, ma questa è una delle cose più belle che la scrittura può regalarci: la capacità di guardare. Parlo dello sguardo stupefatto di chi per la prima volta scopre angoli e piazze e si guarda intorno con negli occhi l’incanto della novità. Sguardo che non serve solo per vedere cose, ma soprattutto per notare l’umanità che ci circonda. La scrittura ci regala la capacità di vedere davvero chi ci viene incontro, e la possibilità di depurare lo sguardo dai pregiudizi e dal consueto.
C’è un esercizio che faccio fare in aula ai miei allievi di scrittura: guardate chi vi sta accanto, dico loro, osservatelo per qualche secondo, ma osservatelo con intenzione. Poi raccontate chi è quella persona. A questo punto la domanda che sempre fanno è: ma come faccio a raccontare se non conosco? Appunto. È questo che chi scrive deve fare. Cucire insieme i particolari e gli indizi che si possono leggere in un viso, un abito, una postura, e farne un personaggio con una storia. Farsi cogliere dalla curiosità, anche. Chiedere. Ascoltare. Lasciare che le ragioni dell’altro siano ragioni. Lasciare vagare lo sguardo con la meraviglia della scoperta, ascoltare i suoni consueti come fosse la prima volta. Guardare e guardarsi da fuori, cogliere le ombre, seguire il fluire delle relazioni. Immaginare di avere una telecamera fra le mani, che coglie senza giudicare. È questa una delle cose più grandi che può fare la scrittura, se soltanto glielo consentiamo: fa allargare le braccia e accogliere il mondo.