Affacciandomi sul terrazzo della casa dove ci eravamo appena trasferiti, la prima persona che ho incontrato è stata la vicina il cui giardino era un po’ più in alto del nostro. Stava verniciando l’inferriata che li divideva e ci ha chiesto se la cosa ci desse fastidio.
– Quale fastidio?! Anzi!
Abbiamo risposto all’unisono e con gratitudine io e mio marito.
Poi le presentazioni: lei era Rietke, Rituccia in italiano, come ha subito precisato per aiutarci a ricordare un nome olandese non proprio orecchiabile ma che invece abbiamo imparato subito, e ci informò che lei pure abitava lì da poco tempo.
Di strano Rietke non aveva solo il nome, ma anche i lineamenti del viso piuttosto marcati e asimmetrici, addolciti, però, dai lunghi capelli chiari e da uno sguardo color mogano penetrante, a volte indagatore, soprattutto quando probabilmente non riusciva a capire del tutto il senso del discorso.
Era primavera e Rietke si dedicava ai lavori di giardinaggio con grande cura tosando il prato con un tagliaerba rigorosamente manuale; io la guardavo da sotto in su lavorare senza fermarsi un attimo, come se succhiasse energia dal terreno, metodicamente avanti e indietro su binari invisibili, intravedevo in controluce i frammenti dell’erba appena tagliata che le schizzavano intorno emanando il loro rassicurante profumo di buono.
Rietke era un’ecologista vera: non solo niente tagliaerba elettrico, ma neanche condizionatori d’aria né auto, si spostava con la bicicletta o con i mezzi pubblici, riciclava tantissimi materiali per i suoi innumerevoli bricolage.
Era stata hostess all’Alitalia, aveva volato in tutte le parti del mondo ed ora, stanca di girare, si godeva la pensione “in quella bella casa”, come la definì una volta.
Vi abitava sola con i suoi due gatti, Tica Tica e Doi Doi, ma offriva cibo e ospitalità a tutti i mici del vicinato che transitavano da lei e di tutti osservava e studiava il comportamento, di cui poi ci relazionava con dovizia di particolari in giardino, zona neutra dove avvenivano quasi tutti i nostri incontri in qualsiasi stagione, mentre a me spesso saliva via via l’ansia pensando a tutto quello che mi aspettava in casa, compreso un figlio piccolo, così talvolta, vigliaccamente, cercavo un escamotage per rientrare.
Ricordo quando ci ha descritto dettagliatamente il volo “in picchiata” delle rondini verso il nostro box mettendosi persino le mani nei capelli mentre riviveva la scena:
– Pensavo che andavano a sbattere contro il muro, poi all’ultimo giravano.
In realtà stavano costruendo come ogni primavera il nido in un luogo riparato, ma lei la viveva così.
Improvvisamente troncava il discorso e spariva, quasi senza salutare.
Anche con le piante aveva un feeling particolare: lo si vedeva da come le disponeva, le curava e da come loro contraccambiavano, come il suo ciliegio che disegnava ricami giapponesi nel cielo e che, solo a guardarlo, regalava una sensazione di pace profonda e di benessere anche a noi che ne godevamo senza aver fatto nulla per meritarcele.
Così quando, in occasione dell’unica sua partenza, mi chiese di prendermi cura del giardino, ho provato la sensazione di entrare in uno spazio incantato dove la scelta e la disposizione dei fiori e delle piante raccontava tutta la passione con la quale Rietke vi si dedicava e ho avuto paura di combinare guai anche solo innaffiandolo: una volta lei stessa mi aveva raccontato che con Mario, il suo ex, avevano addirittura litigato per decidere se fosse meglio bagnare le piante con l’innaffiatoio o con la pompa…
Era come se vivesse in una grande casa trasparente sotto gli occhi dei vicini, per esempio quando la mattina presto ancora in vestaglia gironzolava per il giardino con la sua tazzona in mano, o come quando praticava yoga, ma ormai le sue stranezze non solo non stupivano più noi tre che avevamo imparato a conoscerla, ma ci facevano compagnia.
Non era la stessa cosa per gli altri vicini, soprattutto donne, alcune delle quali mi esprimevano tutta la loro diffidenza nei confronti di Rietke, arrivando a temere che potesse fare anche del male, per esempio alla bambina appena nata che abitava di fianco a noi e che una volta, senza accorgersene, aveva bagnato con la pompa. Erano timori che puntualmente cercavo di dissolvere raccontando all’una qualcosa dell’altra perché potessero semplicemente conoscersi, e in genere la cosa funzionava, come quando la vicina mi disse che Rietke si era scusata portandole un regalino per la bambina. Ovviamente i timori erano solo da una parte: Rietke era così e basta, non si rendeva conto del senso di destabilizzazione che poteva seminare intorno a sé…
Rietke era quello che sembrava: strampalata a volte, quando non si capiva bene cosa stesse pensando, eppure è stata una delle persone più trasparenti e più buone che io abbia mai conosciuto: persino dal suo sguardo indagatore trapelavano una sincerità e una ingenuità disarmanti.
Mi rendo conto che lei, con estrema naturalezza, ci dimostrava che tanti gesti si possono compiere in posti diversi rispetto a quelli che riteniamo per convenzione e per abitudine gli unici adatti. Il suo posto era il suo giardino: Rietke “era”, in un certo senso, il suo giardino.
Questa vicina ci deve aver contagiato con il suo gusto per le stravaganze perché una volta nostro figlio, tornando da un viaggio in Senegal con un frutto di baobab, ha proposto di piantarlo di nascosto nel suo giardino per vederne la reazione una volta che fosse cresciuto ma, sebbene fossimo convinti che almeno all’inizio lo avrebbe accolto senza problemi, poi non ci siamo sentiti di passare ai fatti.
Insomma Rietke e il suo meraviglioso giardino erano il nostro fondale naturale, il naturale proseguimento rialzato del nostro giardino-terrazzo che una volta aveva anche proposto di collegare con una scaletta e un cancelletto per poterci più facilmente scambiare le innaffiature, ma anche lì abbiamo desistito.
Un giorno, un brutto giorno, Mario ci informò che, non sentendola rispondere al telefono, era venuto a casa per controllare e l’aveva trovata a letto, con Tica Tica vicino: se ne era andata di notte, in compagnia dell’unica gatta che le era rimasta.
Mario ci disse poi che lei aveva paura di mangiare fuori perché temeva di essere avvelenata e, fatalità, era morta proprio all’indomani di una cena con amici. Ovviamente non era stato il veleno ma il cuore a cui, come a tutto il suo corpo, non dedicava più molte attenzioni perché distratta, incuriosita e appassionata da tutt’altro.
Di Rietke ci è rimasta per tanti anni Tica Tica solo quando, dopo avere atteso per mesi il ritorno della sua amica, si è decisa a trasferirsi da noi, dall’altra parte di quell’inferriata verniciata tanti anni prima proprio dalla nostra stramba ma dolcissima vicina, e ci è rimasto il rimpianto di non essere riusciti a dedicarle più tempo.
La casa è stata infine venduta a una giovane coppia molto assorbita dal lavoro: il prato viene tosato dal padre di lei con un tagliaerba elettrico, mentre il ciliegio è stato ucciso da una maldestra potatura.