Il tocco

"Le dico mamma non toccarmi. Niente. Che fastidio ti dà? mi dice". E con le mani continua a scavare nella carne del figlio.

Odio mia madre. Quando parla mi tocca. Non lo fa sempre, ma quando mi parla lo fa, e io perdo la ragione.

Mi tocca il braccio o la mano. Io mi scanso e lei mi insegue. Mi allontano e mi incalza. Le dico mamma non toccarmi. Niente. Che fastidio ti dà? mi dice. Puoi evitare, per favore? Eh, e che sarà mai. E mi tocca.

Sono andato a trovarla, mi aveva detto ho bisogno di te. La guardo, e mi fa tenerezza, ma non la sopporto. Ero molto stanco dopo una giornata di lavoro stressante. Faceva un caldo afoso e opprimente, ero sudato e nervoso.

Sono seduto accanto a lei. Le ho chiesto, che ti serve mamma? Avvicinati che non ti sento, mi ha detto lei. Mi sono avvicinato. Sapevo che mi avrebbe toccato. Ho ripetuto, che ti serve? e lei mi ha toccato.

Ho bisogno di molte cose, mi ha detto, e mi ha ritoccato. Ho sentito il braccio che si gonfiava, un calore malato, come se mi avesse pinzato una vespa. Mi serve la Lixiana, mi ha detto, e con l’indice mi ha fatto un buco nell’avambraccio. Il suo dito è sceso oltre la pelle scavando nella carne. Il calore di quell’intrusione è risalito fino alla spalla e poi fino al cervello.

Mi sono scansato, allontanandomi leggermente. Tutto inutile. Con uno scatto sorprendente ha infilato tutta la mano nella spalla, affondando nel mio corpo senza incontrare resistenza. Lentamente ha infilato il braccio in tutta la sua lunghezza, mentre io guardavo impietrito il suo corpo entrare nel mio. L’ho sentita scavarmi dentro con le dita della mano alla ricerca della mia anima.

Ho provato il suo dolore nel ricordo della mia nascita, ho sentito me stesso embrione dentro di lei, e la delusione per la sua gioventù perduta, ho visto mio padre che se ne andava e il sapore delle lacrime di lei. Ho sentito la sua gioia per la prima nipote e la rabbia per la malattia e decine di cose che non volevo sapere.

Potresti andare al supermercato? mi ha detto con metà del corpo ormai interamente dentro la mia spalla. Non sentivo le sue parole. Guardavo la mia carne e la sua fuse insieme, la sua pelle vizza e la mia tesa, abbronzata che si mescolavano. Come dici? Puoi andare al supermercato per me, ha detto lei.

Sì, sì, certo e mi sono alzato. Ho sentito il suo corpo sgusciare fuori dal mio. Ero frastornato. Senti, un’altra cosa, mi dice, avvicinati. Sento le gambe di piombo, le sue parole che rimbombano nella testa come fosse di bronzo, le orecchie mi ronzano. Puoi innaffiare le piante? E mi tocca mentre lo dice. Ed è come se lo facesse con un ferro incandescente.

Mi scanso, sento la pelle bruciare. Esco in balcone. Piante asfittiche implorano acqua. Vicino al tubo vedo delle cesoie enormi, arrugginite. Le prendo e le provo. Le lame scintillano e sussurrano parole che non distinguo. Rientro con le cesoie e mi dirigo verso la camera di mia madre.

Mi vede entrare, poi guarda le cesoie, poi di nuovo me, poi sono troppo vicino. Mi tocca le mani. Poi sento urlare ma non sono io. Poi invece sono io che urlo mentre guardo per terra due mani che non sono le mie.

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Federico Venceslai

Figlio degli anni Sessanta, dice della sua vita che è complicata ma interessante. Vive con un cane femmina e mille passioni: ex sportivo di livello, scrive, disegna, fa teatro, cantava in un coro, legge e cucina bene. Dice della sua scrittura che "è un modo per raccontare le mie fantasie e le mie paure e dar loro forma e concretezza".

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