Ritorno

Una vecchia foto fa riaffiorare tutte le emozioni del primo amore.

«Mamma, perché Daniela ha gli occhi a mandorla?»

«Perché sua madre è giapponese».

«Ma poi passa?»

«Ma che dici, Giovanni, non è una malattia».

Daniela gli piace perché ha quegli occhi strani e abita in una strada che non si chiama “via” o “piazza” ma “clivo”. Non sa cosa significa, ma non è mica una cosa da tutti: Daniela è speciale. Se solo lui non avesse sette anni e lei sedici.

Daniela è la migliore amica di sua sorella Chiara. Una domenica i suoi li avevano portati in montagna.

«Vi faccio una foto sulla neve!», aveva proposto la mamma.

Giovanni seduto sullo slittino, Chiara e Daniela ai suoi lati e il papà in piedi, dietro. Dopo aveva preso coraggio.

«Daniela, mi aiuti a portare lo slittino in cima alla salita?»

E lì aveva farfugliato una dichiarazione appassionata che partiva dal Puffo poeta e finiva con Minnie. Daniela, imbarazzata, aveva cercato di dirgli che era simpatico, che era commossa ma che le piaceva un altro. Giovanni aveva accettato la cosa, ma poi l’aveva sentita che lo raccontava a Chiara ridendo, aveva pianto tutta la notte e le aveva dedicato la prima parolaccia.

«Stronza…» Non l’aveva più voluta vedere.

Sono passati sessant’anni, Chiara non c’è più, Giovanni vive solo, i figli se ne sono andati, i nipoti non li vede quasi mai.

Un giorno gli capita in mano una vecchia scatola da biscotti, piena di fotografie in bianco e nero. In una ci sono tre ragazzini e un adulto, con uno slittino, sulla neve. E la rabbia di quel giorno gli riscoppia nella memoria, suo malgrado sospira. E ricorda.

«Che stronza…»

«Che stronzo io…»

«Che fine avrà fatto?»

Ha un lampo, va a frugare in un angolo della libreria, sa che ci sono ancora i quaderni di Chiara, i diari di scuola, lei non buttava niente, e lì ci sono anche gli indirizzi. La strada con il nome strano che non ha mai sentito da altre parti. E che in realtà non è mai riuscito a scordare.

Non c’era più tornato, in quel quartiere verticale, appoggiato su una collina affacciata su Roma, piena di stradelli, scalette, passaggi.

Si muove. In fretta, esce, prende i mezzi, si arrampica nel vecchio quartiere, a memoria, e la trova: una salita dolce, una discesa discreta verso un avvallamento accogliente e una risalita morbida. Meno faticoso di una salita, meno aggressivo di una rampa. Clivo. Una parola che ora gli suona femminile, sensuale, come le forme di quella strana strada. Trova la palazzina, sbircia i citofoni, legge un nome…

«Sei ancora qui», mormora. Gli tremano le mani, Fa per suonare, si blocca.

“E che le dico? E se non si ricorda di me?”

«Cerca qualcuno?»

Si gira. Due occhi a mandorla lo fissano curiosi. L’antica rabbia del bambino che l’ha vista per l’ultima volta si scioglie all’istante. Il cerchio si chiude: senza dire niente le porge la foto di quel giorno, Daniela la prende, la guarda.

Lo guarda.

«Chiara…» sussurra «Come sta?»

Giovanni scuote la testa con gli occhi immersi in quelli di Daniela.

Poi la abbraccia e le lacrime, come gocce, fanno traboccare il viso.

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