“Non ce lo dicono. Lo veniamo a sapere a poco a poco. Come un bicchiere di acqua fredda, che a berla tutta di colpo fa venire male ai denti. Il figlio della maestra è morto in un incidente su Strada della Pace. L’ha ammazzato un autista ubriaco. Era buio, pioveva e c’era la strada bagnata e non c’erano i semafori e le strisce pedonali. Di che cosa è morto, il figlio della maestra? Di pioggia. Di strisce pedonali assenti. Di Strada della Pace”.
Questo è solo un estratto del romanzo Male a Est, di Andreea Simionel, pubblicato nel 2022 da Italo Svevo Edizioni. L’ho scovato a una fiera e quando ho aperto il libro a caso, queste sono le prime righe in cui mi sono imbattuta. Ho subito pensato a una coincidenza fortunata, invece anche le pagine precedenti e quelle successive avevano la stessa potenza.
La potenza di una lingua che non è la lingua madre dell’autrice e non è neanche frutto di traduzioni e che, proprio per questo, costringe a una ricerca, a un lavoro senza scampo su parole e segni di interpunzione. Un lavoro di cui non si può fare a meno se si vuole che anche solo una virgola o un punto e a capo possano diventare, possano ‘farsi’ lingua madre. Non si può lasciare niente al caso.
E in Male a Est è proprio così: niente è lasciato al caso. Niente è ridondante, gratuito, consolatorio – e in questo l’autrice ricorda tanto Ágota Kristóf. Anche Andreea Simionel mette in scena all’inverosimile, l’aggettivazione è ridotta al grado zero e tutto questo fa del romanzo e della voce dell’autrice qualcosa di necessario, di indispensabile, per chiunque voglia fare lo scrittore.
Buona Lettura!