“Sorridendo sempre” con Valeria Abate

Intervista alla giornalista che ha curato l'autobiografia di Nina Corradini, ex atleta della Nazionale italiana di ginnastica ritmica, una delle famose "Farfalle".

Per chi sa scrivere e narrare storie, c’è un mestiere difficile ma che può portare a buone soddisfazioni professionali: è quello di aiutare qualcun altro a raccontarsi. Ci sono esempi recenti decisamente famosi o perché singolarmente belli (come il caso di Open di Andre Agassi) o perché di attualità e interessanti per il gossip (come accaduto a Spare del principe Harry), entrambi curati dal ghostwriter J. R. Moehringer. Nel caso di oggi, però, non si tratta di un ghostwriter, cioè di uno scrittore che non firma il libro e resta dietro le quinte – anche se nell’ambiente tutti sanno di chi si tratta, ma di una giornalista narratrice che lo ha scritto insieme alla persona che voleva raccontarsi. Cioè lo firmano insieme. Sto parlando del libro Sorridendo sempre. Ero una farfalla e mi hanno strappato le ali (Rizzoli 2023), autobiografia della ginnasta Nina Corradini, scritta con Valeria Abate. La Corradini, nazionale italiana della squadra chiamata delle “Farfalle”,  nel 2021 ha preso la decisione di abbandonare la ginnastica ritmica e di denunciare le violenze subite. Conosco Valeria Abate da diversi anni, ha frequentato i miei corsi di giornalismo con i colleghi Luca Lippera e Giampaolo Cadalanu, l’ho seguita mentre muoveva i primi passi come reporter, mentre studiava e mentre approdava a Repubblica per poi cominciare una sua carriera personale di freelance. So quanto è puntuale e professionale, ma è certo che questa storia con così tanti risvolti emotivi e di polemica, arrivata fino alle aule della procura federale, non era per niente facile da raccontare. Per questo mi è venuta voglia di leggere il libro e poi d’intervistarla.

 

Come è nata questa tua collaborazione con Nina Corradini?

Già dall’articolo pubblicato a fine ottobre dello scorso anno, in cui Nina denunciava per la prima volta gli abusi subiti, mi è stato subito chiaro come si trattasse di una storia che aveva in sé un grande potenziale: fare emergere il marcio che fino a quel momento era rimasto sommerso e dare una scossa a un sistema che sembrava inattaccabile. Ho quindi deciso di contattarla per aiutarla a tirare fuori la sua voce.

 

Come hai fatto a lavorare con una persona che probabilmente aveva molta voglia di parlare ma anche la paura di essere ferita?

Sono stata ai suoi tempi, mettendo da parte quelle che potevano essere le mie esigenze. Durante i primi incontri, infatti, Nina tendeva a raccontare meccanicamente la sua vita da ginnasta come una successione di eventi, tralasciando completamente l’aspetto emotivo. Solo una volta raccontati i fatti in ordine cronologico, siamo tornate indietro ponendo l’attenzione sugli avvenimenti che a mio avviso erano più significativi – e che quasi sicuramente nascondevano traumi. Pian piano, facendo riemergere ricordi anche per immagini, Nina è stata in grado di ricollegare determinate emozioni a situazioni specifiche.

Era cosciente del fatto che esporsi l’avrebbe portata a doversi difendere da critiche anche feroci (molte delle quali campate in aria, a dire il vero), ma sapeva anche che la battaglia che aveva deciso di portare avanti era molto più importante delle sue paure personali. Aiuta anche il fatto che Nina sia una ragazza con le spalle larghe.

 

Essere una giornalista ti ha aiutato a entrare nella vita di Nina oppure hai dovuto cercare una via meno “professionale”?

La mia esperienza maturata negli anni di cronaca nera a Repubblica mi ha insegnato a capire come avvicinarmi alle persone con il massimo rispetto. Quindi, il mio approccio con lei è stato inizialmente orientato a capire in che modo volesse approfondire la sua storia e quale tipo di strumento narrativo fosse più idoneo. È bastata una breve chiacchierata perché fosse chiaro a entrambe che solo un’autobiografia sarebbe stata in grado di restituire appieno il suo vissuto e far immedesimare nelle sue parole altre giovani vittime.

 

Perché il titolo di una storia così dura è Sorridendo sempre?

Il titolo deriva da un’indicazione di massima che le allenatrici da sempre danno alle giovani atlete prima dell’ingresso in pedana. Indicazione che in realtà poi si trasforma in una regola ferrea: qualunque cosa succeda fuori da quel tappeto rialzato, che sia paura di sbagliare, emozione, dolore fisico o tensioni nello spogliatoio, bisogna presentarsi con un gran sorriso sulle labbra davanti al pubblico e ai giudici di gara. E questa sorta di maschera si finisce per portarla anche fuori dal palazzetto.

Anche quando il proprio mondo interiore sta andando in frantumi.

 

Il libro è scritto in prima persona, Nina Corradini ha riconosciuto la sua voce dopo la pubblicazione?

Direi di sì. Nina è una persona molto autoironica e ho cercato di fare emergere questo aspetto in più punti del libro, anche nei momenti più bui. Tuttavia, ho lavorato sul cambiamento graduale di registro tra la prima parte del libro in cui Nina racconta la sua infanzia e l’incontro con la ritmica (un amore a prima vista), e la seconda parte in cui incassa offese e umiliazioni e comincia a percepire lei stessa il suo corpo come sbagliato. La sfida era riuscire a mutare la sua voce da allegra e spensierata a sempre più cupa e angosciata. Il suo stesso racconto, nel parlarmi delle esperienze più traumatiche, è diventato sempre più frammentario e talvolta confuso. Ho cercato di non perdere queste sue emozioni nel tragitto tra la sua esposizione orale alla trasposizione su carta.

 

Questo libro è anche la storia di una denuncia coraggiosa. Non tutte le vittime, però, hanno denunciato, vero?

È vero, sono molte le ragazze che in privato hanno espresso solidarietà a Nina, ma che hanno preferito rimanere nell’ombra. Non c’è da biasimarle, ci vuole un grande coraggio per denunciare. Purtroppo ancora oggi molte vittime temono di essere colpevolizzate per quanto subìto e si trovano a doversi difendere da chi non ha la più pallida idea di cosa abbiano passato. O da chi ha la presunzione di sapere. Ciò non toglie che comunque quasi duecento atlete hanno parlato di esperienze traumatiche vissute durante la loro carriera sportiva. E l’hanno fatto sulla scia del racconto di Nina.

 

La denuncia di Nina Corradini ha fatto nascere uno scandalo vero e proprio, che è arrivato anche in procura, cosa sta succedendo con il libro?

È troppo presto per dirlo.

 

Per Nina abbandonare la ginnastica ritmica è stata una sconfitta, si può considerare un fallimento, secondo te?

È stata sicuramente una scelta dolorosa, ma non si può assolutamente parlare di fallimento. La vera forza sta nel riuscire a trasformare un’esperienza fortemente negativa in qualcosa che può lasciare il segno e aiutare gli altri. Se l’ambiente dello sport cambierà, sarà senza ombra di dubbio anche grazie a lei.

 

Credi che questa storia possa insegnare qualcosa a chi la leggerà?

Spero che possa dare la forza alle giovani ginnaste di non accettare passivamente qualunque tipo di umiliazione, perché alzare la testa si può – e si deve – fare. Per quanto riguarda le allenatrici, il discorso è un po’ diverso. Molte di loro, nate e cresciute in un ambiente chiuso e per certi versi claustrofobico, non si erano mai rese conto di quanto i loro “metodi educativi” fossero inaccettabili. Mi auguro che riescano per una volta a guardarsi con gli occhi di una ginnasta per capire quanto possano ferire in profondità le loro azioni e le loro parole. Soprattutto perché rivolte a bambine e adolescenti.

 

Questo è un periodo in cui le autobiografie di personaggi famosi vanno molto di moda, tu che hai scritto il libro con Nina Corradini ti senti un po’ come Moehringer, l’editor di Agassi e del principe Harry?

Il mio conto in banca dice di no. Comunque, non dispero: non mi risulta che Kate Middleton abbia ancora scritto un’autobiografia.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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