Il mercato delle pulci

Alcuni allievi del percorso Diventa uno scrittore di romanzi hanno partecipato a un esperimento di scrittura collettiva: tante microstorie aspettano adesso di caratterizzare i vostri personaggi per renderli vivi.

Hai mai pensato a quanti personaggi pazzeschi incroci ogni giorno? A volte basta anche solo un oggetto a far immaginare la storia di chi l’ha posseduto. Alcuni allievi del percorso “Diventa uno scrittore di romanzi” hanno partecipato a un esperimento di scrittura collettiva: dal racconto che ne è venuto fuori potrai trovare spunti per i protagonisti delle tue storie!

Grazie a Manuela Maselli, Andrea Scalia, Argia Marinetti, Paola Colli per essersi messi in gioco.

 

Eccezionalmente il 20 maggio, nella Villa Comunale di Napoli, ’e pullece nun tengono ’a tosse ma regali per te!

Un mercatino delle pulci itinerante, unica tappa napoletana! Troverai oggetti di ogni tipo, tutto gratis, tutto accompagnato da un biglietto del precedente proprietario!

Vieni a dare nuova vita a bellissimi oggetti e, se vuoi, lascia qualcosa che racconti la tua storia a chi verrà dopo di te!

Ti aspettiamo!!!!!!!

Andrea si guarda per l’ennesima volta il volantino stretto in mano. Lo ripiega, lo riapre, lo stende sulla copertina rigida del libro che tiene poggiato sulle cosce. Cerca fra quelle parole imparate a memoria la conferma che sta facendo la cosa giusta.

La panchina gli vibra sotto il sedere: Lorenzo si è appena buttato vicino a lui.

– Facciamo che lasci perdere e ce ne andiamo a passeggio sul lungomare? Te lo tengo io il libro.

E fa per prenderglielo con la cautela di un poliziotto che cerchi di convincere un terrorista a non far esplodere la bomba. Ma Andrea si alza di scatto, portandosi il volume al petto.

– Andiamo prima a fare questo servizio. Se non lo faccio adesso non lo faccio più.

– E sarebbe così male?

Andrea si stringe nelle spalle e risponde con un largo sorriso pieno di amarezza che dice, Ci sono forse alternative?

Si gira verso la Villa: una volta raggiunto l’ingresso sarà tutto più facile. I pochi metri che lo separano dalla cancellata in ferro battuto si dilatano all’infinito, gli sembra di camminare per chilometri mentre in testa gli rimbomba come una eco la voce del suo amico, che sta là e lo tira per la manica, Guarda che è una cazzata, Poi te ne penti, Pensaci un altro po’.

Arriva davanti all’ingresso. Si ferma. Si guarda le punte delle scarpe, già impolverate della sabbia sottile che dentro la Villa si solleva a ogni passo.

– Voglio liberarmi di questo oggetto perché per me è il più caro che possiedo.

Non sa nemmeno più se lo sta dicendo a sé stesso, a Lorenzo, al libro, a chi lo sfoglierà dopo di lui.

Lorenzo si sventola una mano davanti alla fronte:

– Ma tu sei matto, come puoi fare una cosa del genere se ci tieni così tanto?

– Andiamo.

Osserva la Villa ancora per un momento da fuori, c’è un’atmosfera strana, come di una festa per la quale Andrea abbia con sé il regalo ma non il vestito giusto. E nemmeno l’umore giusto. Sembrano tutti così contenti, così sicuri della propria decisione di abbandonare qualcosa e appropriarsi di altre cose senza intorno nessuna presenza, limitante e confortante insieme, a cui chiedere il permesso, che annuisca con approvazione davanti alle infinite possibilità di scelta che hanno. Uno lascia una tazza e passa oltre senza girarsi indietro, un’altra si illumina facendo camminare a passo sbilenco un trenino di latta tutto ammaccato e lo alza, si guarda intorno domandando con gli occhi, Ma davvero posso prenderlo così?, e ridendo se lo infila in borsa. E poi c’è lui, con le dita bianchissime per quanto stringe il suo libro, lo stringe per non cedere a un peso diventato insostenibile, lo stringe per non lasciarlo andare.

Inspira, espira, inspira ancora. E fa il primo passo. E poi il secondo. E poi è dentro la Villa. Lorenzo, con le sue scarpe pulite e ferme dall’altro lato della soglia, una punta girata verso il lungomare, gli appare lontanissimo.

 

Ad accoglierlo all’ingresso c’è una barca a vela che si porta addosso il nome, “L’Ondivago”, scritto in caratteri bianchi eleganti sullo scafo di legno scuro.

Ha anche una lettera, attaccata sulla prua con del nastro adesivo di carta:

Questa è la vecchia barca a vela di papà. È stata il nostro sfizio.

L’abbiamo fatta gareggiare, da perdente certa, contro l’aliscafo, pur di godere di quel vento che ci sferzava il viso e di quell’acqua che schizzava in alto mentre fendeva le onde; con lei abbiamo scoperto baie paradisiache.

Ma soprattutto è stata testimone del nostro rituale speciale: quando, dopo aver trovato una baia tranquilla, ammainavamo le vele e ci lasciavamo cullare dalle onde.

Prendevamo le nostre lenze ma non era il pesce che cercavamo. Era solo una scusa per stare lì, in silenzio, a galleggiare sull’acqua, ad ascoltare il ritmo del mare e a scambiarci liberamente silenzi e pensieri tra di noi.

È stata il nostro luogo sacro, un santuario di connessione.

Risate, gioia della scoperta, tensione, rispetto dell’ambiente, educazione alla sconfitta.

Tutto è impresso in questa barca.

– Questa è facilissima da portare a casa, eh?

Lorenzo accanto a lui sbuffa una risatina sarcastica grattando con l’unghia un pezzo di vernice,

– E comunque non ci andrei mai in mare con questa zattera marcia.

– Chi lo sa, magari con un po’ di manutenzione…

– Mi diventi skipper? Vediamo se qualcuno regala patenti nautiche?

– Wa, sai che soddisfazione un bel Peroncino là sopra. Altro che lungomare.

Appena oltre la barca, il sentiero resta come sempre il regno dei bambini che giocano a calcio col SuperSantos, mentre le aiuole sono affollate di coperte di tutti i colori e grucce appese agli alberi, dove danzano insieme decine di vestiti. Il bianco di un abito da sposa brilla sotto il sole che si intrufola tra le foglie, accanto un biglietto su carta di pergamena racconta in un corsivo elegante:

Lo scelsi fra tanti, 25 anni fa. Era semplice ma elegante, diverso da tutti. Appena lo vidi compresi subito che era quello giusto. Era perfetto.

È ancora carico di amore e di stupore, di felicità e di aspettative.

Nessuna lacrima, nessun rimpianto. Solo tanta gioia.

Abito in seta cruda tg 42, stretto in vita e dolcemente scollato, con maniche lunghe e leggere.

PS: C’è ancora un po’ di riso nella scollatura!

E accanto due costumi di Carnevale piccoli piccoli, entrambi composti da jeans neri con striscia bianca laterale, ghette argentate, maglietta bianca, giacca nera di paillettes, guanto argentato, occhiali scuri, cappello bianco. Sono sistemati come se sotto, invece di un’anima di fil di ferro, ci fossero due esseri umani, che nel vento ballano a un ritmo tutto loro. Il biglietto di accompagnamento recita:

COSTUME DI MICHAEL JACKSON – FATTO A MANO per bambini

Nella versione Billie Jean. Realizzato di notte, senza saper cucire, per i miei figli che avevano 2 e 9 anni. Volevano lo stesso costume. Due taglie diverse. Non so come ho fatto.

Fallo indossare anche ai tuoi figli.

C’è sempre bisogno di buona musica.

– André, qua regalano la famiglia perfetta! Moglie muta e bambini invisibili. Ci metto la firma. Secondo te la posso scambiare con i miei?

– Prova. Ti chiamo Liana?

– Solo questo ci manca, guarda. Teniamo già la casa piena di monnezza, da qua sicuro si porta via tutto. Pure il vestito da sposa, sai mai dovesse servire un giorno.

Lorenzo si gratta il cavallo dei pantaloni in un gesto scaramantico e si siede su una scrivania, una di quelle vecchie, di mogano, con le serrature ai cassetti. Legge ad alta voce il foglio posato sopra:

-“Non vorrei proprio fare a meno di questa scrivania perché ne sono affezionata. Il piano rettangolare contiene un incredibile numero di penne ed evidenziatori e un sacco di fogli, contenitori e cartelline. È comoda e molto spaziosa ma soprattutto ha avuto pazienza di sopportare tutto il peso dei fogli con i miei scritti e diari per molti anni. Oggi ho voglia di disfarmene perché conserva oltre agli scritti anche molte mie lacrime, riflessioni e segreti, che hanno fatto parte della mia vita che mi rattrista molto ricordare”.

Apre un cassetto, vuoto.

– Questi hanno detto il falso, oì. Volevo vedere se in mezzo agli evidenziatori ci usciva pure un accendino per me, mi hanno fatto ’sto scherzone. Non ci sta un bel niente.

È Andrea adesso a filare poco oltre, è entrato anche lui nel gioco:

– Però se vuoi ci possiamo fare un caffè. Qua c’è pure il tutorial per non farlo bruciare.

Sui resti di un tronco d’albero tagliato, sopra un telo cerato giallo, una macchina da caffè è coperta per metà da un lungo biglietto:

MACCHINA PER CAFFÈ A CIALDE – USATA POCHISSIMO

Comprata 5 anni fa. È una svolta. Facile da usare, non sporchi e scegli fra mille gusti di cialde.

Con la moka invece: metti l’acqua, inserisci l’imbuto, prendi il barattolo del caffè in polvere, versalo con il cucchiaino nell’imbuto. A volte è un po’ di meno, oppure un po’ di più. A volte cade fuori e si sporca il lavello. Avvita la macchinetta, ben stretta, e mettila sul fuoco. Intanto guarda la finestra, annaffia i fiori, fai due chiacchiere, dai un bacio a chi vuoi tu.

Quando la caffettiera borbotta, si sparge un buon profumo caldo di mattino per la cucina e in tutta la casa. È stato allora che ho cambiato idea, e non ho più voluto prepararmi il caffè in fretta.

Andando poco più avanti c’è un bel tavolino basso, rettangolare, in legno teak del Tucano. Andrea si accovaccia ad accarezzare il biglietto che lo accompagna, scritto su un foglio strappato da un quadernone a righi:

Acquistato 25 anni fa. Ha avuto il suo posto d’onore in un grande salotto fra due divani marroni. Ha ospitato ciotole, fiori e cornici d’argento. Pasticcini e caffè. Telecomandi e cartoni di pizza il sabato sera. Biberon e macchinine, album da colorare e qualche segno di pennarello. E poi di nuovo ciucci e biberon, pongo e piccoli travasi d’acqua. Un giorno è stato impacchettato e caricato su un camion di traslochi, e poi… sorpresa: il nuovo salotto era più piccolo!

Donagli un grande salotto. Questo tavolino può fare molto per te.

Adesso, invece, ospita un libro tutto colorato che si intitola “A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar. Fiabe sonore”. Il biglietto che lo accompagna, a inchiostro blu, ha una grafia incerta:

La mia infanzia in questi 10 preziosi raccoglitori rossi con 60 fiabe. Ognuna con il suo disco 45 giri.

I vinili sono tutti integri, alcuni hanno la copertina rotta da un lato.

Non sapevo ancora leggere ma era gioia pura scegliere la fiaba e sognare su quei disegni. Ho imparato a memoria le canzoni e le voci di tutti i personaggi. Le mie preferite sono ancora: La casa nella foresta, Il tesoro dei tre fratelli, I tre capelli dell’orco, Vardiello e Cappuccetto Rosso.

C’era una volta, il Cantafiabe dirà e un’altra favola comincerà.

Mettete la puntina del giradischi sul 45 giri, e fate partire la magia.

Davanti a questo ultimo ricordo, Andrea prende coraggio e torna alla scrivania. È quello il posto giusto, ne è sicuro, perché un po’ di gioia compensi i cassetti pieni di lacrime e svuotati di ogni altra cosa.

– Lò, hai carta e penna?

– Ci siamo, eh.

Mette le mani in tasca.

– La penna ce l’ho… ma non ti aiuto a cercare il biglietto. Non voglio essere complice di questa cosa, già lo so che mi romperai il cazzo in eterno se veramente se lo prendono.

 

Se vi muovete ad andare in Villa, troverete, fra oggetti di qualsiasi tipo e dimensione la vostra fantasia vi suggerisca, un libro senza biglietto. Il titolo non ve lo diciamo: lo riconoscerete. E aprendolo troverete sulla prima pagina questo messaggio, una confidenza destinata solo a chi avrà avuto abbastanza cura e curiosità da sfogliarlo:

Questo libro è il dono più importante che ho ricevuto e non solo perché e bello, antico e ben rilegato, ma perché contiene l’essenza dei valori che hanno sempre ispirato la mia vita. E ora ho deciso di lasciarlo qui, come i numerosi possessori che mi hanno preceduto a un certo punto lo hanno regalato o in qualche modo liberato. Così questo libro, grazie a te che lo leggerai, resterà vivo, spargerà energia verso il mondo e non morirà con me, così come i pensieri che sono qui contenuti.

Un passo dopo l’altro, la polvere scivola via dalle scarpe di Andrea. E lui si sente sempre più leggero. Guarda il suo amico, che l’ha accompagnato nonostante non fosse d’accordo. Rimane da fare una sola cosa:

– Andiamocene un po’ sul lungomare.

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Sabrina Silvestri

Docente della scuola Genius, ha conseguito un Master in Medical Humanities e uno in Mestieri della scrittura; gioca con le storie e le parole in ogni ambito professionale, da quello editoriale - dopo il Master in Mestieri della scrittura ha continuato a collaborare come consulente per Bompiani, che l'aveva selezionata per il tirocinio formativo - a quello artistico. Lavora come clown socio-sanitario e conduce laboratori teatrali per bambini. Ha pubblicato racconti per le riviste letterarie "Fritz" e "Mosse di seppia".

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