Claudia Colaneri conduce laboratori di scrittura collettiva per disabili adulti con ritardo mentale. La sfida consiste nel trattare temi “alti”.
“Io continuo a pensare e mi convinco sempre di più che sono eccezionali.”
“Guardi, non sono normali, né speciali, né eccezionali; sono persone con più difficoltà, ma forse meno problemi di noi.”
“Beh, vista così, può anche essere. Ma loro lo sanno di essere… di avere… come si dice?”
“Difficoltà, si dice. Hanno alcune difficoltà; in altre cose invece riescono meglio di noi.”
“Per esempio?”
“Sanno essere più sinceri e forse proprio per questo sono degli attori straordinari.”
“Attori?”
“Sì, li ha mai visti in uno spettacolo, magari accanto ad attori cosiddetti “normodotati”?
“Non mi è mai capitato.”
“Purtroppo questo tipo di spettacoli non capitano; non sono in locandina, né compresi negli abbonamenti in poltronissima. Eppure farebbe bene a tutti vederli; perché è teatro vero e le assicuro che non riuscirebbe a distinguere chi sul palco è il normodotato e chi il disabile.”
Il braccio destro gli scivola nella fodera della giacca, lentamente. Il sinistro annaspa e si contorce senza trovare la manica. Poi arriva la mamma, lentamente, e mette tutto a posto. La mamma gli asciuga un po’ di bava dalla bocca, prende un pennello e gli disegna le labbra col rossetto e i baffi sotto al naso. La mamma gli spalma la brillantina sui capelli, un velo di cipria, le ultime raccomandazioni e si allontana appoggiandosi al bastone. Lui resta lì, dietro le quinte, con una collana di perle in mano. Qualcuno verrà a prenderlo per portarlo in scena, qualcuno gli suggerirà la battuta. A un certo punto dovrà prendere un cappello, o un ombrello, non ricorda più. Ma ci sarà qualcuno ad aiutarlo. Il pubblico riderà, come quei ragazzini che incontra tutti i giorni per la strada, solo che il pubblico invece di ridere di lui, lo farà per le sue battute e per il suo personaggio.
Mamma non crederà alle sue orecchie quando lo ascolterà dire una barzelletta tutta intera. E anche se non sentirà la barzelletta, perché ormai è anche un po’ sorda, riderà quando fingerà di svenire tra le braccia di Marco che fa il poliziotto. E i suoi nipoti diranno che lo zio è proprio buffo vestito da sorcio, con quella parrucca arancione.
Pippo è al suo terzo spettacolo, gli altri della compagnia, gli assistenti, i volontari, gli si avvicinano e gli dicono “merda”. Che maleducati, pensa Pippo, poi ride, figurandosi quello che direbbe la mamma a vederlo in mezzo a tutta quella gente che parla di merda e chissà se lei ha preso la pasticca stasera. Pippo era alle prove e nessuno poteva ricordargliela. Avrà fatto da sola. Si avvicinano anche quelle due che fanno le sorellastre di Cenerentola: Gianna e Alba.
Bruna non sta mai zitta e si strappa i peli delle braccia, poi dice “Ahia, li mortaccitua!” Anche se non è battuta del copione. Ma tanto il copione lei non lo sa leggere, e neanche Pippo. Solo la matrigna, una signora della Croce Rossa, lo sa fare e ha voluto il vestito scollato come Sophia Loren. Poi le sorellastre trattano male Cenerentola, che è la fidanzata di Pippo, e le stracciano i vestiti. Ma Pippo deve stare al posto suo, ha detto il regista.
Il regista è bravo, ha anche le scarpe coi lacci, Pippo non ricorda il suo nome, forse Pasquale, come il gemello di suo cugino, che è morto alla nascita, o forse Pippo, come lui.
Ecco qualcuno che lo spinge in scena, le luci sono accecanti, non vede nulla, dov’è mamma? Riesce a distinguere solo il presidente del municipio in prima fila che scrive sul telefonino.
Eccola la sua fidanzata Emma, poi Leo, Ezio e Bruno, vestiti da topini, con i maglioni colorati e i cerchietti con le orecchie, gli hanno dato un vestito rosa e lui deve portarle la collana di perle.
Dov’è? La collana, dov’è? Ce l’aveva in mano.
No! Stanno andando avanti con la scena, senza collana.
“Emma, ce l’hai tu la collana? Ce l’hai tu? Ce l’hai tu la collana? Emma? Ah, no, scusa, Cenerentola, hai rubato tu la mia collana?” Ridono tutti. Ma quelle non erano le parole dello spettacolo, e non facevano ridere. Poi si accorge che la collana di perle se l’era messa lui.
Finito lo spettacolo, applausi, parenti commossi, musica e coriandoli. I ragazzi, gli assistenti e i volontari del centro escono sul palco per rispondere alle domande del pubblico. Primo fra tutti il presidente del Municipio che però non fa una vera domanda ma parla di un bando e di un progetto contro il bullismo e di come è contento che un gruppo di disabili si faccia portavoce di questo tema. Dice che è felice di veder tanti studenti in sala, ma forse non sa che sono stati costretti dalle insegnanti ad andare a vedere lo spettacolo. Alcuni di loro iniziano a rivolgere delle domande preparate.
“Vi siete mai sentiti presi in giro per i vostri problemi?” Dice una ragazzina leggendo un foglietto a quadretti strappato da un quaderno.
Alberto prima prova a infilarsi un dito nell’orecchio sinistro poi si ricorda che non deve farlo e allora lo alza per parlare: “Io no, mai, sono sempre tutti buoni con me. Quando qualcuno mi dice che sono scemo, tutti mi difendono. Io non conosco persone cattive”.
“Che ne pensate di quelli che vi trattano male?” Chiede un ragazzo molto più alto e grosso dei suoi compagni.
Marcella, mostra a tutti la sua collana di brillanti e dopo una lunga pausa risponde: “Penso che lo fanno perché non si rendono conto e hanno il problema che tante cose non le capiscono. Se uno non si rende conto, non è colpa sua, poveraccio. E io non lo devo giudicare male”.
Interviene anche Susanna: “Mio padre era uno che mi trattava male, quando ballavo prendeva la cinghia e diceva che una storpia non balla. Faceva tante cose e adesso non lo vedo più perché sta in galera o forse è uscito, non lo so. Mamma, però non piangere, anche se dico queste cose, capito?”