Claudia Colaneri conduce laboratori di scrittura collettiva per disabili adulti con ritardo mentale. La sfida consiste nel trattare temi “alti”.
“Fantastico. Eppure quando lei parla, io continuo a immaginarmi dei bambini in una scuola. Mi è difficile pensare ad adulti che passano le ore della giornata in un centro. Non ho la minima idea di come possa essere la vita o la storia di una persona così”.
“Vediamo allora se riesco a farle immaginare qualcuno di loro.”
“Non vedo l’ora; iniziamo.”
Emma ha 45 anni e vive con sua sorella gemella Ester, che è morta il giorno in cui è nata, e da allora si è trasferita nella testa di Emma.
Emma ragiona ad alta voce e Ester le risponde, sempre ad alta voce.
Tra le due, Ester è più saggia perché dice le stesse cose della mamma. Quando Emma fa i capricci o si fissa su qualcosa, Ester la sgrida, sempre ad alta voce. Emma alla fine la sta a sentire e fa la brava, perché la sua sorellina è buona e da lassù vede tutto.
Emma va dal barbiere ogni due mesi, quando i folti capelli rossi iniziano a pizzicarle le orecchie. Ha un viso rubicondo, grandi occhi azzurri e narici incavernite ben bene dal suo indice destro. Mentre parla ha l’abitudine di tirare su la cinta dei pantaloni, accompagnando questo gesto con un saltino, o solleva le bretelle del reggipetto, per poi far rimbalzare il seno sul suo pancione.
Emma guarda spesso il calendario; ricorda a memoria i santi del giorno, i compleanni, gli onomastici e gli anniversari di quelli a cui è affezionata e anche dei loro parenti più prossimi. A volte si mette a tavolino a scrivere a Padre Pio perché tolga le spine dalle gambe della mamma.
La mamma di Emma e Ester si chiama Alda, ma per quelli del quartiere è Aldona e, con gli anni, a furia di stare in piedi a stirare per tutti i clienti della lavanderia, le è cresciuta una pianta di rose rampicanti dentro le gambe. Aldona, soprattutto d’estate, con il caldo, grida, perché le spine dei rami blu la pungono da dentro, e perché le spuntano tante rose nere sotto la pelle. Neanche i dottori dell’ospedale riescono a guarire la mamma, così Emma insiste per portarla al vivaio che sta allo svincolo con la provinciale. Però nessuno le dà ascolto, la pianta della mamma cresce e lei si rivolge a padre Pio, che di fiori se ne intende.
Ogni tanto anche Ester vuole scrivere, ma lo fa ribaltando le parole e le lettere, in modo che per leggere, bisogna mettersi col foglio di fronte allo specchio. Solo Emma riesce a capire, senza lo specchio, quello che scrive Ester.
Oltre alle rose della mamma, Emma ha due grandi problemi: quelli che le dicono che deve dimagrire e il ciclo mestruale.
Rispetto al primo si sente tranquilla, lei si vede magra, semmai è Ester a essere un po’ cicciotella, ma non può farci niente, povera stella, perché, da morta, neanche mangia.
Riguardo al ciclo, cioè “alle cose sue”, la mamma dice che il giorno in cui arrivano, deve restare a casa. Anche Emma pensa che sia meglio, perché “quelle cose” vengono a casa; altrimenti potrebbero non trovarla.
Emma e sua sorella, ogni giorno fanno il giro del quartiere per salutare tutti i negozianti; Emma chiede sempre loro qualcosa in regalo, soprattutto al panettiere e al pasticcere, ed Ester la sgrida: “Se magni un altro pochetto, te vie’ er mal de panza.”
“Vabbè, ma un pezzetto!”
“Daje, su, cammina. Guarda che poi il dottore te strilla.”
“Vabbè, ma io me devo tene’ sù! E poi c’ho fame!”
“Ma quale sù. Ma quale fame! Ma che stai a dì?”
“Senti, io alla fame mia je vojo bene!”
“Addirittura?”
“Sì, perché me fa esse’ bona. Se c’ho fame, magno e nun meno nessuno!”
“Quindi, insisti?”
“E certo!”
“Vabbè, fa come te pare, poi però, non te lamenta’ che ingrassi!”
“Nun me lamento, nun me lamento. E poi io so magra, se me so allargata è perché te porto dentro. E mo zitta e famme magna’ sennò me agito.”
Così Emma addenta il tanto desiderato cornetto con la crema, gentilmente offerto dalla signora Maria, che si è divertita tanto a vederla litigare tra sé e sé.
Anche se bisticciano, le due sorelline sono inseparabili, soprattutto quando Emma deve fare i prelievi del sangue e ha una gran paura.
“Ma che paura, cammina. All’età tua, ancora c’hai paura. Daje, ce sto io co’ te; sto sempre con te. Te prometto che non sentirai male. Lo sentirò io, che so’ abituata e tanto già so’ morta; ma te no, nun te faccio sentì male.”
Così Emma affronta tutto, anche il caldo; sì, perché quando è estate la mamma non esce neanche per andare in farmacia.
“Ciao Tere’!”
“Ciao Emma!” Risponde la farmacista: “Come mai sei uscita a quest’ora? Sei tutta sudata!”
“Lo so, è che mi’ madre ha detto che oggi nun esce perché fa caldo; allora m’ha fatto usci’ a me, ma fa caldo uguale!”
Emma aspetta tutto l’anno il giorno del compleanno suo e di sua sorella. Inizia a parlarne con tutti già tre mesi prima, lo annuncia a chi non lo sa, lo ricorda a quelli che ne sono al corrente, lo ribadisce a coloro che le sembrano distratti su altre questioni meno importanti, lo ripete a sé stessa per anticipare la gioia.
Alla fine arriva, il giorno del suo compleanno. Al mattino, non ha ancora aperto gli occhi, che già sorride. Si alza seduta sul letto e resta un minuto a guardarsi le braccia, le mani, le gambe, i piedi, la pancia, con grandissima soddisfazione. Si abbraccia con immenso affetto e si pizzica la guancia come le faceva sua nonna quando era piccola. Infila le ciabatte, si dirige in cucina e dice alla mamma, seduta come al solito, sulla poltrona a guardare la tv:
“Mamma, oggi è il mio compleanno! Mi fai gli auguri?”
Poi saltella fino a lei e si inginocchia per ricevere un bacio sulla guancia.
Emma, ogni anno, riceve in regalo sempre una boccetta nuova del solito profumo da uomo che sua madre compera al supermercato.
La torta invece la mangia con gli amici dell’associazione che frequenta.
Tre volte a settimana Emma si reca in un centro dove ci sono altre persone che, come lei, prendono la pensione da giovani. Lì ha tante amiche e un fidanzato, Pippo, che, per stare con lei, avrebbe lasciato Angelina Jolie. Quando è il giorno del suo compleanno, festeggia i suoi anni, sempre ventidue, tutti gli anni.
Nel centro ci sono tante sedie, da portare da una stanza all’altra, a seconda dell’attività. Quando si dipingono i quadri, i vasi o le palline di Natale, tutti seduti; quando si fa danza, dipende; a musicoterapia si sta seduti sul tappeto di gomma; al coro, dipende; al laboratorio di scrittura, tutti seduti, qualcuno dorme pure. Queste cose, divertenti, ma anche impegnative, vanno fatte per non annoiarsi nelle pause tra un pasto e l’altro. Perché i momenti migliori per Emma sono quelli della merenda, del pranzo e del caffè dopo mangiato. Sono appuntamenti che non l’hanno mai delusa, se non quella volta che mise troppo zucchero nel cappuccino della macchinetta:
“Te fa male!”, disse Ester.
“Davvero? Ma non credo!”
“Non lo bere, dàllo a Leo.”
“Va bene. Leo, bevi questo cappuccino che a te nun te fa male. Però damme i centesimi che ne prendo un altro per me.”
Un quarto d’ora dopo aver bevuto il cappuccino preso con i soldi di Leo, Emma vagava per il centro arrabbiatissima:
“Oggi neanche merenda ho fatto!”
“Come no!” rispose Ester: “Hai bevuto il cappuccino!”
“È vero, ma quello non era il mio, era di Leo!”
Quel giorno Emma non riuscì più a concentrarsi e andò a casa di pessimo umore, però imparò a fare attenzione allo zucchero.