CRONISTA DI UN TEMPO IN CUI C’È E NON C’ERA

Le parole sono le armi che come un mantra reiterano l’idea pervasiva del campo di battaglia

Jessy Simonini – Campi di Battaglia (Ed. Sensibili alle foglie 2021 – Collana Ospiti #222)

Ci sono esordi che hanno già in sé tutti i segni di una maturità d’espressione e di poetica tanto che sembrano opere mature e testi compiuti sebbene la giovinezza di chi ha prodotto l’esordio ci metta di fronte a un interrogativo che viene naturale anche se poi suona persino a noi che lo formuliamo ingenuo: l’interrogativo riguarda l’adesione identitaria dell’autore, come essa colmi le distanze, non solo temporali, ma culturali, teoretiche, intellettuali. Tutto questo è emerso dalla lettura di Campi di Battaglia, una raccolta pubblicata da Sensibili alle foglie (esperienza editoriale di ricerca e anarchia nata nel 1990), nella collana Ospiti, e ne è autore autorevole, dalla voce ferma, solida, multiforme, il giovanissimo Jessy Simonini (1994) il quale lavora nella ricerca letteraria ed è attivo politicamente, e si muove tra Medicina (Bologna), dove ha servito come assessore alla cultura e Nantes presso la cui università è dottorando di letteratura francese con interessi per la letteratura italiana, la poesia occitanica e il romanzo medievale.


MOVIMENTO


Promettimi che non faremo la fine di Pezzana

o quella più squallida di Renaud Camus

un tempo rivoluzionari di professione,

adesso autori sul Foglio e teoreti

affermati della Grande Sostituzione:

abbiamo venticinque anni, fammi giurare

che fino all’ultimo saremo

rivoluzionari senza professione,

che non compreremo un figlio

e non accenderemo un mutuo,

riprendimi e dimmi come l’amore

sia in ogni caso sovversione, anzi

amore impossibile senza spazi

in cui sognare lumbifragi

per industriali e capitale,


ti pregi non voltare mai il dorso

della mano alla promessa,

anche a costo di finire soli

e poveri, ma intimi e politici,

nella casa-torre a Castell’Arquato

dove immagino sia morto

Aldo Braibanti, ancora innamorato

di Giovanni Sanfratello.


TERRITORI PERDUTI DELLA REPUBBLICA


La differenza è sempre e solo

fra i nostri morti e i loro:

perché i nostri sono stati uccisi da loro.

In questo giovedì di maggio

non si incrosta alle pareti

la sintassi dell’armistizio

la voce stentorea di Diaz

appesa a tutte le lapidi

bollettini celebrazioni rimembranze.


Resistono lapidi improvvisate

sfaldati i bordi e gli accenti fuori posto,

nomi piccoli sottratti alla litania

della storia ufficiale

compagni e compagne di monda

di scuola di lotta.


Nella notte qualcuno ha deturpato la lapide

quella dei morti in trincea

e ha stabilito un’altra memoria:

in quel gesto mimetico

c’è un senso di sconfitta

ma anche un respiro finalmente vivo e grande.


Per oggi la lapide in rosso

è la mia zona da difendere,

prima che il potere ancora e ancora la cancelli

in questa pace dove il decoro

è la sola poetica possibile

perché i nostri morti non sono       non saranno

mai e poi mai uguali ai loro:


per adesso l’unico potere che ci deve interessare

è solamente quello di deturpare.


Questi due componimenti provengono dalla terza parte del libro, Campi e Campetti, cioè aree più e meno vaste in cui la voce poetante si misura con l’incisività della propria azione di protesta verso il sistema, verso la nostra quieta vita ordinaria, decorosa, di cui pure il poeta è parte, ma belligerante. Una battaglia tutta giocata sulla parola. Sostanziata e lastricata di corrispondenze con la letteratura che appare il terreno cronistico naturale di ogni azione e di ogni partecipazione civile.

Proprio in apertura di questa terza sezione, Simonini pone tra gli exerga le parole di Adrienne Rich,


These are other battlefields     Centralia     Detroit

here are the forests primeval   the copper   the silver lodes*

Ecco altri campi di battaglia    Centralia      Detroit

ecco le foreste neolitiche      le vene di rame   d’argento


-versi tradotti da Maria Luisa Vezzali (poeta bolognese e traduttrice ufficiale di A. Rich, poeta femminista americana) per l’edizione Crocetti 2000 di Cartografie del silenzio riproposta nel 2020.

Preciserei adesso due cose: tutti gli exerga sono inseriti in originale e tradotti in nota in fondo al volume, e questo ci fa capire quanta importanza Jessy Simonini dia alla parola poetica e alla lettura possibile alla fonte, salvo corredarla con la versione in italiano perché diventi accessibile a tutti: un’opera che svolge anche lui come traduttore dal francese e dall’occitano. Nella V parte della sezione d’apertura di Campi di Battaglia intitolata IL CATALOGO DELLA GIOIA TAURO Adrienne Rich e Maria Luisa Vezzali sono destinatarie di questi versi:


Stanotte nessuna poesia servirà

e anche ora non serve

la nostra poesia politica

l’indignazione smaltata

di chi da vent’anni riposa

in un lungo anno sabbatico

o in una infinita quarantena.


            /Rich parla del marxista d’accademia

            in anno sabbatico con gli occhi

            annebbiati da Gramsci a sorvegliarlo

            dal ritratto dietro la scrivania/


Stancano i discorsi critici,

interviste, festival e recensioni:

Oxa dall’Ottanta canta canzoni

migliori dei nostri inediti

da poeti borghesi:


            /di questo passo, sapete, finiremo appesi

            perché questa è la fine che fanno

            di solito i controrivoluzionari/


non ci basterà citare Brecht e Majakovskij

nemmeno indignarci per i migranti morti

a qualche chilometro dalle nostre coste

mentre la polvere si infila nelle fessure

della nostra casa al mare


            /nota bene come i libri siano pieni dei sensi di colpa

            del poeta borghese che

            come colui che piange e dice

            guarda i poveri e descrive

            le direzioni del loro dolore/


mettiamo piuttosto ogni nostra parola

a servizio della rivolta

diamo tempi e versi

alla rivoluzione che si annuncia


scegliamo un campo di battaglia

uno fra i tanti in questo enorme

spalancato atlante di un mondo terribile

aperto oltre il nostro sguardo

anche nei campi più a settentrione

nelle case misere lungo i due fiumi


appendiamoci a un dolore

anche invisibile, ma che sia

sempre e comunque il dolore degli altri

perché è solo il dolore degli altri


che merita di essere trascritto

ora che possiamo cambiare paesaggio

e che un tempo nuovo si apre


facciamoci coraggio

e riprendiamo le armi,


sì non stupirti, perché anche noi

abbiamo delle armi


e con quelle sapremo rovesciare i tavoli

dove si esercita il potere


spingere insieme

oltre ogni limite conoscibile

grandi e profondissimi

processi rivoluzionari.


Il primo verso è in corsivo perché appunto un verso di Adrienne Rich tradotto da Maria Luisa Vezzali che sul proprio sito web apre la homepage con questi altri versi, sempre nella propria traduzione:

                  “Tutto quello che abbiamo scritto

                  verrà usato contro di noi

                  e contro quelli che amiamo”

e sono versi che riflettono l’estensione del condizionamento fin dal linguaggio che il decoro e la obbedienza civile in forma velatamente giuridica esercitano sulla persona e sui gruppi. Nei versi di Jessy Simonini che abbiamo appena riportato emergono in modo chiaro la rivolta e la propensione alla rivoluzione – viene in mente subito l’aforisma di Camus, Mi rivolto dunque siamo, dimensione amplificata e sommativa della rivolta del singolo che si riconosce nel gruppo e si organizza per la rivolta col gruppo.

Per tutta la raccolta Campi di Battaglia, Simonini rincorre una possibile ascendenza di questo senso di rivolta nella lotta armata degli anni Settanta dominati dai terroristi, nella loro parola ottusa dei proclami e dei comunicati, una parola a cuori chiusi, ma la lotta qui, mentre indica e stigmatizza le miserie espressive che sono riflesso delle miserie di caratura etica e civile, si affida proprio alla parola: le parole sono le armi che come un mantra reiterano l’idea pervasiva del campo di battaglia – la chiave tematica, la poetica di fondo del libro. Questa poesia riportata sopra, in particolare, è anche poesia sulla poesia – non solo o non tanto sulla poesia come fare, quanto sulla poesia come atteggiamento, come bagaglio di conoscenze e come senso del proprio essere al mondo e senso dell’esserci.

Ancora qualche osservazione utile per individuare i moventi genuini di questa (idea e prassi di) poesia – come l’ironia tutta giocata sul calembour o gioco di parole nei titoli delle tre sezioni:

IL CATALOGO DELLA GIOIA TAURO / ALBUMI DI FAMIGLIA / CAMPI E CAMPETTI,

che non solo segnala una postura intellettuale però non fredda del poeta verso la materia o campo di battaglia su cui ragiona e che sceglie, ma crea inedite connessioni tra la vita politica del recente passato continuamente, più che allusa, direi evocata, e la vita personale privata individuale: due versanti sussistenti nella stessa persona, che è dunque privata e pubblica, e che come poeta diventa cronista del tempo in cui vive e anche di un tempio in cui non c’era ma verso cui idealmente guarda e si tende come nel rimpianto che quel passato, la sua sostanza, i suoi ardori funesti, non sono più materia di oggi, non sono più possibili. Ciò che siamo diventati, ciò che è ora un giovane nei suoi vent’anni, è questo: “Jessy Simonini si inventa trovatore dallo sguardo cosmopolita nato nella Bassa Padana ma nelle cui vene scorre sangue del sud e che si aggira per il mondo a contatto con i ‘bassi= fondi’ dai quali sgorga con irruenza la linfa della rivolta”, come sintetizza egregiamente Pina Piccolo nella prefazione.

Aggiungo un elemento di scrittura e versificazione, anzi due, meglio: tre, che considero indicativi:

l’andamento enunciativo, con pochi enjambements, della scansione per cui il verso si articola come frase cioè come verso libero di impianto prosastico; l’aperto ricorso alla prosa in alcuni (non pochi) passaggi; e una modalità elencativa di apposizioni in sequenza sullo stesso verso emulata proprio da Adrienne Rich come qui:


Oggi ho capito che nessuno di loro

e nessuno di noi

mai è stato       è       sarà un giorno

padrone

oppure qui:

poco prima che tutto tornasse a tremare

e ora la casa un tetto scuro

perso in mezzo all’alluvione:

Rosa Luxembourg      Alessandra Kollontaj     Maria Margotti

una bracciante coperta dagli stracci

sempre in balia dei fiumi e delle nuvole

inconsapevole delle genealogie

ignara del Capitale      del Manifesto     dell’Ideologia tedesca


Diciamocela tutta, da questo libro avrei dovuto trascrivere quasi tutto per dare conto in modo il più possibile completo dei temi decisamente sorprendenti e dello stile interventista (mi viene quasi da dire) di questo poeta giovane e determinato che canta con disincanto e un pizzico di convinzione e anche con limpida postura politica la nostra fase umana transitoria assuefatta domata precarizzata (si potrà dire?, è per dar conto del processo tuttora costantemente in atto). È evidente che in modo dolente eppure irrinunciabile Jessy Simonini, con sforzo quasi archeologico oltre che genealogico, come lui stesso dice, prova a infilzare il passato recente con radici profonde innestate fin dentro i movimenti degli anni Settanta e nei guasti naturalmente del tempo delle nostre giovinezze (in cui cullavamo sogni e distruzione, e la politica più o meno sottobanco costruiva le sue trappole e le sue oscenità a stento mimetizzate), e va detto che lo fa con limpidezza e franchezza, immergendosi in quel mare magnum che è la Storia dentro cui tutti diventiamo contemporanei e stabiliamo reciproci legami inediti fortemente voluti e rintracciati con meticoloso pedinamento.

In coda al libro è proprio Maria Luisa Vezzali a chiudere il cerchio con una postfazione corposa, da cui trarrei la luminosa conclusione secondo cui “nelle fondamenta” dell’”asperità” che connota soprattutto la terza sezione della raccolta (Campi e campetti) “non è difficile ravvisare la dolcezza accorata e intimamente umana dell’utopia” [,,,] “nella convinzione indifettibile che il combustibile buono di ogni sovversione è <<in ogni caso>> l’amore” – e questa dopotutto è l’osservazione di chi nell’epoca evocata, i contraddittori anni Settanta, attivamente e davvero c’era.

Ho una sola critica a tutto questo: aver schiacciato il libro, che ha una sua propria forza propulsiva anche sfrontata e lodevolmente provocatoria, tra due scritti critici, come in un sandwich. Peccato.

Condividi su Facebook

Potrebbe piacerti anche...

Dentro la lampada

Zio Alberto

Cosetta incontra inaspettatamente un lontano parente che aveva conosciuto solo nei racconti dei suoi familiari.

Leggi Tutto
Apri la chat
Dubbi? Chatta con noi
Ciao! Scrivimi un messaggio per dirmi come posso aiutarti :)