Poesia e poetica di Charles Simic riflesse nelle scatole e lanterne magiche di Joseph Cornell
Hide-and-Seek
Haven’t found anyone
From the old gang
They must be still in hiding,
Holding their breaths
And trying not to laugh.
Our street is down on its luck
Its windows broken here and there
Where on summer nights
We heard couples arguing,
Or saw them dancing to the radio.
The readhead we were
All madly in love with,
Who sat on her fire escape
Smoking late into the night,
Must be in hiding too.
The skinny boy
On crutches
Who always carried a book
May not have
Gotten very far.
Darkness comes early
This time of year
Making it hard
To recognize familiar faces
Among those of strangers.
Nascondino
Non ho trovato nessuno
della vecchia combriccola.
Devono essere ancora alla macchia,
trattenendo il respiro
e cercando di non ridere.
La nostra strada ha visto tempi migliori,
le finestre sfondate qui e là
dove le sere d’estate
sentivamo litigare le coppie
o le vedevamo ballare alla musica della radio.
La rossa di cui
eravamo tutti cotti,
che sedeva sulla scala d’emergenza
a fumare fino a notte fonda,
deve essersi data alla macchia anche lei.
Il magrolino
con le stampelle
che portava sempre un libro con sé
può darsi non sia mai
andato troppo lontano.
Il buio arriva presto
a questo punto dell’anno
e rende difficile
riconoscere le facce familiari
tra quelle degli sconosciuti.
Imponderabilia
I tie myself into knots
Over you, baby.
Sailor’s tricky knots
Throughout the night,
Hangman’s big one
In dawn’s early light.
Plonk, said the leaky gutter
To the fat bucket
Pining down below.
Mi annodo come un matto
per te, baby.
Nodi difficili, da marinaio,
per tutta la notte,
quello grosso del boia
alla prima luce dell’alba.
Toc, ha detto la grondaia bucata
al secchio che pingue
si strugge lì sotto.
[da Come Closer and Listen / Avvicinati e ascolta, CHARLES SIMIC, Edizioni Tlon – febbraio 2021, introduzione di Moira Egan, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan]
Una forza illeggibile
Cornell sapeva quello che stava facendo? Sì, ma in prevalenza no. Chi può davvero saperlo?
Cornell sapeva quello che gli piaceva vedere e toccare. Quello che piaceva a lui non interessava
a nessuno. Il surrealismo gli fornì il modo di essere qualcosa più di un semplice eccentrico,
collezionista di bizzarrie varie. Le idee sull’arte vennero dopo, se mai vennero chiaramente.
E come avrebbero potuto?
La sua è una pratica divinatoria. Dada e surrealismo gli fornirono un precedente e la libertà.
Penso soprattutto alla sorprendente scoperta che la poesia lirica può nascere da operazioni
casuali. Anche Cornell credeva nella stessa magia, e aveva ragione! Tutta l’arte è un’operazione
magica o, se si preferisce, una preghiera per una nuova immagine.
“Dentro le pieghe sinuose delle / antiche capitali, ove ogni cosa / si converte in incanti, anche
l’orrore”, scrive Baudelaire. La città è un’immensa macchina di immagini. Una slot machine
per i solitari. Spiccioli di fantasticherie, poesia, passioni segrete, follia religiosa – tutto trasforma.
Una forza illeggibile.
[CHARLES SIMIC, su Joseph Cornell, IL CACCIATORE DI IMMAGINI (Dime-Store Alchemy / The Art of Alchemy 1992) – Traduzione di Arturo Cattaneo per Adelphi 2005]
È in libreria da pochissimo una raccolta di inediti di Charles Simic, poeta americano di origine serba, nato a Belgrado nel 1938. Con la famiglia è stato spesso costretto a cambiare indirizzo negli anni della guerra e poi è incominciata una sorta di inevitabile diaspora familiare: suo padre dopo la guerra era a Milano per lavoro e per anni il tentativo della madre di riunire tutti loro è stato respinto. Solo nel ’53 riescono a migrare a Parigi e l’anno dopo negli Stati Uniti dove il padre era già emigrato. Vivono a Chicago dove il poeta frequenta il liceo e “scopre” la poesia, per spostarsi all’università di New York: si laurea nel ’66 dopo un’interruzione degli studi dovuta al reclutamento nell’esercito, la nuova patria gli ha dato un indirizzo stabile ma gli chiede indietro un attestato concreto di fedeltà alla bandiera.
Un primo dato interessante va in due direzioni.
Innanzitutto la poesia: Charles Simic scrive la sua poesia in inglese (comincia a pubblicare nel ’59).
E poi formazione ed esperienza: la formazione si fonda in parte in Jugoslavia e nella lingua serba, poi prosegue, con brevissima parentesi francese, in anni più consapevoli negli Stati Uniti; e l’esperienza è per molto tempo quella di un profugo, di uno sradicato, ma ancora di più consiste nell’adattamento e nel fronteggiamento naturale di ciò che la vita propone.
Charles Simic non ha voltato le spalle alla sua nazionalità primaria: per molto tempo ha pubblicato i poeti jugoslavi traducendoli in inglese, ma il riconoscimento letterario è legato alla “carriera” poetica tutta svolta nella letteratura e nell’accademia americane in cui ha collezionato premi titoli e docenze.
The Last Lesson
It will be about nothing.
Not about love or God,
But about nothing.
You’ll be like a new kid in school
Afraid to look at the teacher
While struggling to understand
What they are saying
About this here nothing
L’ultima lezione
Sarà sul niente.
Non sull’amore né su Dio,
ma sul niente.
Sarai come un bimbo nuovo a scuola
che ha paura di guardare la Maestra
mentre si sforza di capire
cosa stanno dicendo
di tutto questo niente.
Meditation in the Gutter
Of things beautiful.
Things fleeting.
Like the scent of summer night
At the corner of Christopher and Bleecker
Silent and deserted.
As I stood leaning
Against a mailbox
Where years ago
I dropped a love letter
And never heard back.
When a cat walked up to me,
One of its paws raised
As if to call my attention
To the cunning threads
By which our lives are rigged.
Meditazione sulla canalina di scolo
Su cose belle.
Cose fuggevoli.
Come il profumo della sera d’estate
all’incrocio di Christopher e Bleecker
vuoto e silenzioso
mentre me ne stavo appoggiato
a una cassetta delle lettere
dove anni fa
avevo imbucato una missiva d’amore
rimasta senza risposta.
Un gatto mi si avvicinò
con una zampetta sollevata
come per richiamare la mia attenzione
sugli astuti ingannevoli fili
in cui sono imbrogliate le nostre vite.
[da Come Closer and Listen / Avvicinati e ascolta, CHARLES SIMIC,
Edizioni Tlon – febbraio 2021, introduzione di Moira Egan, traduzione
di Damiano Abeni e Moira Egan]
In secondo luogo, nei versi di Charles Simic mi pare si colgano in modo limpido tutti gli elementi che innervano la sua poesia, cioè concorrono a costituirne il tessuto.
Per cominciare lo sguardo, la capacità di cogliere nel mondo reale tutte le immagini, senza criterio di gerarchia, che evochino dei fatti e una sensazione. Uno sguardo in apparenza distratto o meglio non specializzato, non solo capace di posarsi su oggetti disparati creando legami inediti e volanti tra loro. E anche uno sguardo che non contempla soltanto il mondo reale ma spesso è evocazione di un altro mondo, il mondo del sogno, come se lo sguardo fosse posato su un sogno sognato ad occhi aperti.
In più, questo dispositivo del tutto naturale e vagamente onirico nello stesso momento, capace anche di evocare, intrecciandole, tradizione e memoria, permette grande libertà. E conduce verso una irresistibile ironia – pure, non priva di una capacità di immedesimazione nelle sorti umane e in un profondo sondaggio del destino umano.
Colpisce, e qui riporto, un passaggio nella introduzione di Moira Egan a proposito della grana poetica dei versi di Charles Simic. Moira Egan è poeta statunitense di stanza a Roma, e moglie di Damiano Abeni, epidemiologo e traduttore di poeti americani (recente è l’uscita di due volumi sulla Nuova Poesia Americana, editi entrambi da Black Coffee): la traduzione di questi inediti è stata condotta da loro in tandem. Nel suo saggio, Moira Egan racconta di essersi trovata a Praga per un festival di poesia che metteva insieme alcuni poeti americani, tra cui lei, con poeti dell’Europa dell’Est. A un certo punto arriva la domanda temuta: ai due poeti sul palco, entrambi americani, viene chiesto di nominare le poetesse ammirate. Nessuna delle poetesse presenti al festival viene nominata. La sera dopo, una poetessa dalla platea chiede alle poetesse di turno sul palco di nominare i poeti maschi ammirati: si impone Carolyn Kizer, “Ci sono alcuni buoni poeti in giro. Ma per essere veramente grande, un poeta deve avere un forte senso della storia. I poeti americani non hanno il senso della storia che ci vuole. I poeti maschi che vengono dall’Europa dell’Est invece quel senso della storia ce l’hanno. Loro sono i poeti veramente grandi.” Moira Egan precisa, “Charles Simic è tra gli autori contemporanei che in assoluto hanno, ed esprimono, il più tenace e poderoso senso della storia.”
Skywalking
Much grief awaits us, friends.
From this day on
We’ll be testing our luck
Like a man stretching a wire
Between two skyscrapers,
Who sets out to walk on it
Carrying an open umbrella
Which the wind may snatch away
When he is halfway,
And then have its fun
Bouncing it off walls and windows.
We are likely to forget the man
Waving his arms up there
Like a scarecrow in a squall.
Camminare nel cielo
Molto lutto ci attende, amici miei.
[qui, per dire, se abbiamo orecchio fine, sentiamo echeggiare Omero e Shakespeare, ndr]
Da questo giorno in poi
metteremo alla prova la nostra sorte
come l’uomo che tende un filo
tra due grattacieli,
e che ci si incammina sopra
con in mano un ombrello aperto
che il vento gli potrebbe strappare
quando è a metà del tragitto, per poi divertirsi
a sbatterlo su muri e finestre.
Probabile che ci dimentichiamo dell’uomo
che lassù agita le braccia
come uno spaventapasseri nella tempesta.
Astronomy Lessons
The silent laughter
Of the stars
In the night sky
Tells us all
We need to know
Lezione di astronomia
La risata silenziosa
delle stelle
nel cielo di notte
ci dice tutto
ciò che ci serve di sapere.
Qui soprendiamo il poeta in una istantanea meditazione che oscilla tra il Leopardi del Canto notturno e il John Keats di Ode on a Grecian Urn (Keats ritorna in una poesia intitolata Terror, evocato con l’endiadi “pipes and flutes”. In Terror, interessante per costruzione, ricorre il termine “saw” che richiama L’Urlo di Ginsberg:
Saw a toad
jump out of boiling water
Saw a chicken
dance on a hot plate
in a penny arcade
Saw Etruscans in a museum
flogging slaves
to the accompaniment
of pipes and flutes
[…]
Un poemetto molto bello, strutturato per rimandi e ripetizioni. E poi leggendolo si ricava una molto penetrante sensazione, piuttosto indimenticabile: il male colpisce tutti gli esseri viventi e la nostra sorpresa sta nel rendercene conto per ultimi e all’improvviso. Istantaneamente cogliamo la silenziosa sofferenza di tutte le creature che noi con arroganza e anche in modo colpevolmente scontato crediamo inconsapevoli. Si squarcia di colpo il velo di Maya della nostra non-conoscenza, la foschia in cui siamo immersi e avvolti costantemente: dopotutto non sapere ci permette di andare avanti proprio perché ci risparmia di vedere il male, la sofferenza, il dolore che c’è in tutte le vite e ci strazia tutti insieme e di continuo – a questa consapevolezza non si potrebbe sopravvivere. A questa notizia non come puro dato ma come presenza viva e palpitante, in noi e attorno a noi. Anche se ignoriamo e dimentichiamo per poter andare avanti, alcuni segnali per quanto deboli o certe crepe in superficie ci informano di tutto ciò che ignoriamo e rischierebbe di farci finire pazzi o costanti moribondi.
Open Late
A small-town laundromat brightly-lit
On a street of darkened storefronts
With an aged Elvis in it studying a page
Of some well-worn girlie magazine.
A few clouds in the night sky,
One hovering like a death mask,
Its hollow eye pits taking it all in,
While his torn jeans spin in the machine.
Colpisce come sempre la semplicità e la naturalezza del dettato, e la presenza di immagini pulite. Come dicevo più su, è il mondo reale la sorgente delle immagini che Simic associa nei suoi versi, ed è interessante il fatto che si tratti di immagini significative sia come quadri che come metafore, come “racconto del mondo” e come sua versione simbolica. È molto illuminante su questo fronte il libro di Charles Simic, su Joseph Cornell, Dime-Store Alchemy / The Art of Alchemy [(1992) – Il cacciatore di immagini (Traduzione di Arturo Cattaneo, Adelphi 2005)].
Terra incognita.
L’America aspetta ancora di essere scoperta. i suoi vagabondi e i suoi poeti assomigliano
ai primi navigatori che salpavano per i loro viaggi d’esplorazione. Persino nelle sue città
esistono ancora spazi che i cartografi hanno lasciato in bianco.
Questo pomeriggio è un cinematografo dove, per qualche ragione, si proiettano due film
dell’orrore in bianco e nero. Di quelli in cui la notte sta sempre per calare. In cui qualcuno
è tutto solo in un luogo dove non dovrebbe essere. Se c’è una casa, è l’unica nel raggio di
diversi chilometri. Se c’è una strada, è deserta. Gli alberi sono spogli o, se hanno foglie, il
loro fruscio è minaccioso. Nel cielo ancora indugia una striscia di luce grigia. Il tipo di luce
in cui persino le nostre mani sembrano poco familiari, mani di estraneo.
Tornati in strada, l’uomo vestito di bianco che svolta l’angolo potrebbe essere il fantasma
del defunto poeta Frank O’Hara.
Charles Simic si è specchiato nell’arte di Joseph Cornell (Nyack, NY – 1903/1972), un artista che non era pittore o scultore, era più che altro installatore, collezionista e ricombinatore di oggetti in opere costituite del loro assemblaggio all’interno di scatole (come fossero cofanetti da aprire per ascoltare un carillon): attraverso quel riflesso, Simic si pone la questione fondamentale del valore dell’arte, della sua sorgente, del suo senso, e all’interno di questo, del valore della propria poesia, e del senso di scriverla e farla risuonare, diffonderla.
Emerge anche la faccenda posta da Borges: l’indistinzione (ecco il noùmeno, il vero inconoscibile) tra realtà e sogno, e tra il sognare e l’esser sognati, e cioè cosa davvero può dirsi realtà, cosa è vero e cosa è percepito, e qual è il nostro vero stato di coscienza.
PREFAZIONE. Faccio un sogno. Joseph Cornell e io che ci incrociamo per strada.
La cosa non è del tutto impossibile, avendo entrambi percorso a piedi le stesse strade.
[…] tra il 1958 e il 1970 passavo le mie giornate alla Public Library sulla Quarantaduesima
Strada, frequentata anche da Cornell. […] per parecchio tempo non ebbi un’idea chiara di
cosa Cornell stesse veramente facendo. […] fu solo dopo la sua morte che iniziai a riflettere
seriamente sulla sua arte.
Come una specie di Bartleby, il misterioso personaggio di Melville, Cornell salvava gli oggetti dall’oblio: li recuperava per riassortirli in opere di riuso e di risulta. Come Bartleby cercava di sottrarre gli oggetti e le persone che se ne erano prese cura dal cadere in quel cono buio o pozzo senza fondo che sono la dimenticanza e la fine. L’opera di riassortimento e neo-assemblaggio in nuove creazioni di materiali vari e di natura frammentaria svolta da Cornell è tipica anche del Modernismo non solo nell’arte ma anche nella poesia.
Scatola di fiammiferi con mosca
Lanterna magica
Carillon
Portapillole
Scatola con puzzle
Scatola con cassetti minuscoli
Scatola nautica
Portagioie
Scatola del marinaio
Scatola di farfalle
Scatola piena di souvenir di un viaggio per mare
Prigione magica
Scatola vuota.
L’unico testo apparentemente non in prosa del libro in realtà è in prosa sì ma è un elenco, una lista, un catalogo: un tipo di congegno che prosa e poesia hanno in comune nel condominio della parola. Ma la lucidità di Charles Simic arriva a toccare punte sorprendenti, sul piano tematico come delle corrispondenze intuite e delle somiglianze involontarie. Si finisce a lambire l’America profonda e radicale che troviamo in Flannery O’Connor, ad afferrare il cuore della questione, che sta oltre il fondo, della scelta per l’arte come per la poesia.
Teologia dietro l’angolo della strada
Dovrebbe essere chiaro che Cornell è un artista religioso. Il suo soggetto è la visione.
Crea icone sacre. Prova che anche nel mondo moderno, se gli si vuole dare un senso,
c’è bisogno di credere agli angeli e ai demoni.
Il disordine della città è sacro. Ogni cosa è correlata alle altre (ricordate Einstein?, ndr).
Sopra come sotto. Siamo frammenti di un tutto inesprimibile. Il significato è sempre in
cerca di sé stesso. Rivelazioni impensate ci attendono dietro l’angolo.
Il predicatore cieco e il suo vecchio cane attraversano la strada in senso opposto al traffico
Dei taxi e camion strombazzanti. L’uomo si porta dietro la chitarra malconcia tenuta assieme
Con del nastro adesivo bianco, di modo che sembra bendata.
Creare arte in America ha a che fare con la salvezza dell’anima.
Ciò conferma che ogni opera di parola pascola nel più vasto reame della teologia, e della teleologia, cioè rincorre la domanda metafisica su Dio Anima e Mondo, e persegue senso e destino, e, scrive Simic in un brano, nel suo libro su Cornell, intitolato Questi sono i poeti addetti alla manutenzione degli orologi dei campanili: “la relazione tra gioco e sacro. […] I nostri ricordi sono immagini divine perché la memoria non è soggetta alle leggi ordinarie del tempo e dello spazio. […] Immagini circondate dall’ombra e dal silenzio. Il silenzio” [eccolo, il nostro vecchio amico, ndr] “è la vasta chiesa cosmica on cui siamo sempre soli. Il silenzio è l’unica lingua parlata da Dio”.
Per chiudere, dei versi, tra i molti che restano impressi, tratti da Come Closer and Listen / Avvicinati e ascolta (Edizioni Tlon, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan), libro da assaporare con calma, e da cui partire per esplorare la vasta produzione di Charles Simic:
You’ll Be Pleased with Our Product
A cage big enough to kennel a man
You wish to remind he’s no better
Than a stray dog waiting his turn
To be put to death by the ASPCA.
So that you may rest easy, our cages
Are built with your safety in mind
And are strong enough to withstand
Outbreaks of rage and suicidal despair.
Sarete soddisfatti del nostro prodotto
Una gabbia grande abbastanza da fare da cuccia a un uomo
a cui volete ricordare che lui non è migliore
di un cane randagio che aspetta il suo turno
per essere messo a morte dall’ENPA.
Perché vi sentiate a vostro agio, le nostre gabbie
sono costruite con in mente la vostra sicurezza,
e sono forti abbastanza da resistere
sia alla rabbia belluina che alla disperazione suicida.
Among My Late Visitors
There is also a cow
Whose eyes teh soldiers
Took out with a knife
And lit straw under its tail
So it would run blind
Over a minefield
And thereafter into my head
From time to time
Tra chi viene a visitarmi a notte fonda
C’è anche una mucca
i cui occhi i soldati
hanno cavato con un pugnale
per poi accenderle paglia sotto la coda
in modo che corresse cieca
su un campo minato
e da lì in poi nella mia testa
di tanto in tanto
La parete della stanza è bianca: verità bianca, “immensità claustrale”, secondo John Donne. L’infinito è il Tempo senza una storia da raccontare. Misuri il Tutto col tuo corto pezzo di spago, forse un laccio strappato?
CHARLES SIMIC [in Il cacciatore di immagini, Adelphi 2005 – traduzione di Arturo Cattaneo]