A PROPOSITO DI SILENZIO….
Quando i miei gatti mi vedono mangiare
mi guardano con sguardo comprensivo
e si siedono nelle vicinanze,
sanno quel che faccio, aspettano
per consuetudine antica
mentre se io leggo o scrivo al computer
loro mi guardano un po’ stupiti
– anche se ormai sono abituati –,
quando mangio sanno quel che faccio
ed è come se ci parlassimo,
se usassimo una sola lingua
e ci dicessimo tutto.
[Claudio Damiani, “Gatto, tu hai due occhi come me. I miei gatti” (FaziEditore – 17 febbraio 2021) – plaquette e-book, pagina 18]
Esiste una forma di silenzio a cui non viene naturale pensare: eppure è in sé il genere di silenzio più naturale che c’è. E non è certo solo un silenzio umano. È il silenzio degli animali, testimoni spesso muti, e attoniti, delle nostre gesta sconclusionate. Ed è anche il silenzio di quella parte del nostro discorso che non prevede conversazione cioè scambio, quindi appare discorso di per sé unilaterale ma è a tutti gli effetti espressione dunque, verbalizzata o no, è enunciazione preziosa. È la parola che rivolgiamo agli animali. Va da sé che la parola non è l’unica articolazione espressiva possibile: non c’è solo la parola umana. C’è una gamma infinita di suoni e articolazioni espressive che viene dal creato – non solo dagli animali, da tutto il vivente che ci attornia, ma noi, ostinati, siamo sordi, non lasciamo la parola al mondo. Claudio Damiani invece (come già avevamo visto nel resto della sua produzione prima di questo suo piccolo omaggio recente su cui oggi ci concentriamo) ascolta con grande naturalezza l’anima del mondo sparsa e annidata ovunque. Per esempio negli animali, che condividono i nostri spazi, e li governano, a dispetto di noi, che crediamo di dar loro un posto.
Il gatto mi guarda e mi sbadiglia in faccia
senza mettere la zampa sulla bocca
allora anche a me viene da sbadigliare
e gli sbadiglio in faccia,
l’altro gatto mi guarda stupito
e viene da sbadigliare anche a lui.
Ecco, così io e i miei due gatti ci parliamo
[ibidem, pag.26]
Il gatto cammina sull’abisso e se ne frega,
tu saresti terrorizzato, lui no,
staresti immobile, lui cammina tranquillo. Se tu non
combinassi nulla staresti in ansia, lui no, tu vorresti
fare tante cose,
pensi a quello che ti manca,
a quello che vorresti fare e avere
lui no, cammina tranquillo
inseguendo una mosca ora
poi si guarda intorno
e cammina sul vuoto ora
lasciando nell’aria delle piccole orme.
[ibidem, pag.32]
La femmina mi guarda con gli occhi delicati
ha uno sguardo triste
lei è diffidente, mi teme
anche se poi vuole giocare.
La sua bellezza non è dicibile
guardandola mi sembra di sprofondare
nel mondo femminile,
mi sembra di capire delle cose
che non avevo ancora capito.
Il maschio si lascia fare tutto
per lui sono la sua mamma
sa di essere malato
e lascia che io lo curi
mettergli la pomata in tanti punti
sono anche carezze.
[ibidem, pag.14]
Degli occhi della femmina potrei scrivere un libro. La loro
forma modulata potrei disegnare, ma non potrei descrivere.
Sognanti, lucidi, melodiosi, soffusi di una nebbia sottile. Nel
maschio sono più regolari, due amigdale schiacciate, con le
punte centrali verso il basso e le laterali in alto. Nella femmina
su questa base geometrica devi aggiungere una modulazione
come linee di labbra, o cuore, come un’onda gentile. Così io,
quando la gatta era piccola, ero incantato da questa forma
degli occhi. Nel maschio la forma mi sembrava meno significan=
te, ma crescendo è cambiato. Ora i suoi occhi li trovo, nella loro
semplicità, essenzialità, anzi di rei geometricità, perfetti.
[ibidem, pag.25]
L’attenzione di Claudio Damiani al mondo dei gatti celebra anche la ricorrenza della Giornata del Gatto, solennemente stabilita per il 17 febbraio di ogni anno da qualche anno, e per questa solennità Damiani ci regala l’ebook “Gatto, tu hai due occhi come me. I miei gatti”, targato Fazi come tutti i suoi libri, però stavolta scaricabile gratuitamente al link in calce a questo articolo oppure sui social nei profili dell’autore o dell’editore (ripeto, FaziEditore), ma è soprattutto diario di una convivenza attraverso versi e prose. Essa consiste più in una resa ai ritmi placidi e convulsi degli animali che in una organizzazione della vita animale come estensione umana.
Esiste tutta una letteratura sui gatti sui cani e sulla convivenza umani/animali.
Leggendo questa breve raccolta di Claudio Damiani ho pensato prepotentemente a due libri in prosa per cominciare: Il compito di un gatto di strada di Margherita Oggero (Einaudi), storia di Ruggine che si avventura in un viaggio che lo condurrà a Londra; e poi Sesso amore e croccantini (toh, altro libro Fazi) di Flavia Borelli, romanzo pieno di humour del reciproco adattamento casalingo foriero d’amore eterno tra un gatto e “la sua” umana.
Però devo ammettere che, subito!, ho ripensato a due autori, a me cari, più di tradizione.
Primo l’immancabile T. S. Eliot, col suo OLD POSSUM’S BOOK OF PRACTICAL CATS (ff London1919, dal ’94 disponibile in edizione italiana, Grandi Tascabili Bompiani, con testo a fronte – prefazione di Emilio Tadini, traduzione di Roberto Sanesi, illustrazioni di Edward Gorey), che comincia così:
THE NAMING OF CATS
The Naming of Cats is a difficult matter,
It isn’t just one of your holiday games;
You may think at first I’m as mad as a hatter
When I tell you, a cat must have THREE DIFFERENT NAMES.
First of all, there’s the name that the family use daily,
Such as Peter, Augustus, Alonzo, or James,
Such as Victor or Jonathan, George or Bill Bailey—
All of them sensible everyday names.
There are fancier names if you think they sound sweeter,
Some for the gentlemen, some for the dames:
Such as Plato, Admetus, Electra, Demeter—
But all of them sensible everyday names,
But I tell you, a cat needs a name that’s particular,
A name that’s peculiar, and more dignified,
Else how can he keep up his tail perpendicular,
Or spread out his whiskers, or cherish his pride?
Of names of this kind, I can give you a quorum,
Such as Munkustrap, Quaxo, or Coricopat,
Such as Bombalurina, or else Jellylorum—
Names that never belong to more than one cat.
But above and beyond there’s still one name left over,
And that is the name that you never will guess;
The name that no human research can discover—
But THE CAT HIMSELF KNOWS, and will never confess.
When you notice a cat in profound meditation,
The reason, I tell you, is always the same:
His mind is engaged in a rapt contemplation
Of the thought, of the thought, of the thought of his name:
His ineffable effable
Effanineffable
Deep and inscrutable singular name.
– versi ripresi alla lettera da Andrew Lloyd Webber per il musical CATS totalmente ricalcato su questa opera giovanile del grande poeta americano che scelse poi l’Europa, l’Inghilterra e la fede anglicana (virando da un ateismo nichilista a una scelta di fede storica).
A questi versi, Damiani risponde ma fuori testo, nella nota introduttiva della sua plaquette:
[…] La gran parte delle poesie sono dedicate al gatto che ho ancora adesso,
che si chiama Cicero, poi però il fidanzato di mia figlia (gattaro come me)
ha cominciato a chiamarlo Ciccio, e da Ciccio seguendo una linea di varianti
è arrivato a Sisio, e adesso tutti lo chiamiamo così. In qualche poesia compare
anche la sorella, Ipazia (Topa zia per mia figlia), che era un’assassina terrificante,
sbranava quotidianamente piccioni e li cospargeva meticolosamente per tutte le stanze, lungo arcuate linee di sangue, come fossero riti agrari di fertilizzazione.
Una sorta di dripping macabro, tra Pollock e Hermann Nitsch. […]
Proprio in questa pagina Damiani fa tenero riferimento alla gatta che idealmente sorveglia questa raccolta:
[…] Il gatto con cui ho vissuto più tempo è stata sicuramente Tanaquilla, una
tigratina che mi dette una mia amica perché litigava con un’altra gatta che aveva.
Lei ha vissuto con me quasi vent’anni, e a lei è rivolta la poesia (che deve essere dei primi anni Novanta) che dà il titolo a questo libro. […]
ma soprattutto più avanti, il poeta ascolta i gatti su natura e crudeltà:
«Sì ho tormentato il rondinotto, ci ho giocato e
l’ho lasciato lì mezzo morto», mi dice il gatto, «e
adesso mi sdraio qui e dormo.
Perché, che c’è di male?».
Il gatto e io ci guardiamo a lungo.
«Noi siamo così da milioni di anni
viviamo la vita che ci è stata data
e non ce ne preoccupiamo
e adesso se non ti dispiace vorrei dormire»,
e il gatto si sdraia su una mia ciabatta.
[ibidem pagine 15/16]
–viene ripreso un tema caro a William Blake e sviluppato in The Tyger (Songs of Experience):
Tyger Tyger, burning bright,
In the forests of the night;
What immortal hand or eye,
Could frame thy fearful symmetry?
Perché, diciamocela tutta, questa raccolta che, con dettato semplice, esitante tra la “difficile facilità” (ossimoro caro a Damiani) del discorso e l’andamento in levare dei versi combinato con l’andamento lungo della prosa capace di dare maggior voce allo stupore, mette in questione un tema di fondo: il senso del nostro stare al mondo, noi e come noi gli animali le piante l’acqua il cielo i monti le rocce gl’insetti tutto il visibile e l’invisibile…
«Ma vedi noi siamo solo tasselli, passaggi dell’evoluzione
per arrivare a voi. La natura vuole arrivare alla men te,
perché con la mente vuole fare qualcosa, non so cosa.
Nei prossimi secoli avverranno cose incredibili, avrete
accesso a una tale quantità di energia! Con la quale potrete
fare quello che vorrete. O meglio quello che vuole lei, la natura».
[ibidem pagine 17]
Questo lo dice il gatto!
Questo piccolo libro rende possibile una conversazione in genere impossibile.
È scritto quasi in forma d’intervista: l’uomo chiede al gatto – e il gatto risponde.
L’immaginazione rende possibile un dialogo che nella realtà non avviene perché l’uomo, non questo uomo in particolare ma l’umanità, non sa ascoltare strutture e suoni diversi dal proprio discorso: ed è così tagliato fuori dalla comprensione della vita in quanto tale!
Allora mi pare che qui il registro accolga quella funzione che, correndole accanto, va oltre la Logica, come ipotizzava Novalis (romantico tedesco vissuto tra il 1772 e il 1801) nei suoi Frammenti (e subito professa come lui Gianni Rodari, assumendo appunto:), a fianco alla Logica, la Fantastica, che qui Damiani trasforma o forse incarna nella (forzatura mia) Gattastica.
Damiani si mette nel solco dei grandi favolisti: Esopo, Fedro e La Fontaine, però rinuncia a umanizzare gli animali come nostri alter ego morali, ma prova ad ascoltare la loro lezione e a immedesimarsi in una profonda comunione con la Natura che a questo punto È Dio, se un dio dobbiamo immaginare o inventare.
E poi è pur vero che Damiani segue le orme già tracciate da Eliot, il quale alla ricerca di un senso soprattutto alla miseria dell’Uomo, e all’inaridimento del mondo come suo specchio, è riuscito a trovare l’acqua e ha rintracciato nella Natura i segni di qualcosa di buono nonostante noi, ma Eliot fa questo percorso sempre con presunzione sapienziale. Invece Damiani conserva un’inesauribile virtù d’innocenza, una semplicità inattaccabile, mi viene da dire incorruttibile. E in questo senso mostra davvero qualcosa di orientale nella postura dell’animo e del pensiero: come accade in certi romanzi coreani in cui nessuno si sogna di mettere in discussione il fatto che ciò che nella vita ci arriva va accolto come destino, questo comporta un atteggiamento arrendevole, non presuntuoso o arrogante.
«[…] ma le cose passano, le cose passano,
e anche noi passiamo».
«Sì, anche noi passiamo», ho detto io,
ma dove andiamo?».
«Andiamo verso qualcosa che è sempre qualcosa non esiste
la fine, perché, vedi,
siamo tutti collegati».
«Spiegati meglio, perché non capisco bene». «Voglio dire quello che ho detto,
che non c’è una fine, e non c’è una fine perché siamo tutti collegati».
«Dimmi se ho capito», ho detto io,
«il fatto che siamo tutti collegati…
forse vuoi dire che non esistiamo individualmente, e che il cambiare,
il passare delle cose, come tu dici, il tempo
quello stesso è il collegamento
cioè l’essenza stessa temporale
del nostro esistere è alla base
del nostro essere collegati».
«Sì», mi hai risposto tu nel sogno,
«è più o meno così, credo,
hai presente le catene?
è come se ci dessimo tutti la mano
e questa mano, non ce la stacchiamo mai,
nessuno ce la può staccare,
è questo il punto, capisci?».
«Cioè tu vuoi forse dire», ho detto io al gatto, «che non è che noi
siamo venuti alla vita casualmente in quel preciso tempo e punto,
ci siamo venuti perché ci eravamo “attaccati” mi sembra di capire, e
non potevamo che essere noi in quel preciso punto dell’essere».
«Avendoci chiamato quelli che erano prima attaccati a noi, e
chiamando noi
quelli dopo di noi,
attaccati a noi.
Vedi», ha continuato il gatto,
immagina una grande sfera che gira
davanti a una luce, come la terra davanti al sole, tu sei in quella
sfera infinita,
come un punto di lei, quando la luce ti illumina sei nella vita,
ma quando non più o non ancora tu sei sempre in quella grande sfera
lo stesso». Il gatto stava sempre in cima al muro, e io gli ho detto: «Vieni,
scendi un attimo che ti do un bacio». Lui è sceso a terra e io l’ho preso
in braccio, l’ho accarezzato sulla testa e l’ho baciato sulla nuca, poi gli
ho accarezzato il dorso e la coda
e lui ha miagolato e ha fatto le fusa
poi gli ho preso la testa con la mia mano destra e gliel’ho
stretta, e lui è stato zitto
e io l’ho baciato ancora un po’, e lui ha fatto le fusa ancora e poi mi
sono svegliato.
[ibidem pagine 12/13]
Ecco, noi siamo fatti esattamente della sostanza dei sogni,
e la poesia, la letteratura, è la nostra sola attendibile realtà,
l’unico mondo dove esplorando capiamo poco ma almeno un po’.
Cliccate qui per leggere questa raccolta imperdibile, gratuita, donata dal poeta.