Louis CK e l’arte di mettersi a nudo

Il noto comico statunitense Louis Ck prova a tornare in auge dopo lo scandalo. Roma è una delle tappe della scalata

Ormai in pace con le proprie ossessioni, e con la lucidità di chi è maestro nello schernire sé stesso, Louis CK cerca di riconquistare il suo posto tra i migliori stand-up comics di sempre. E mette in scena il suo riscatto al Sistina, in un teatro dalle poltrone tanto consunte che paiono lucide, e il cui velluto si è ormai rassegnato a un color rosa stanchezza.
Il soffitto del Sistina ha tutta l’aria di essere lì lì per crollare. Per di più, visto da fuori, i vetri del teatro ricordano quelli dei negozi di tappeti che svendono sempre ma non chiudono mai. Se non fosse per il pubblico, tra cui un buon numero di expats, non si direbbe diano qualcosa di interessante. Sì, ci sono le locandine con le date di Louis CK, con tanto di scritta soldout, ma sono solo due, all’interno, e nascoste da colonne.
L’odore di declino fa scopa con l’ombra che cala sul comico dal 2017 quando, in pieno movimento #MeToo, si scoprì che soleva masturbarsi in camerino di fronte alle colleghe. Uno scandalo che ha ridotto il diaframma tra l’uomo e il personaggio (l’onanismo compulsivo è un tema onnipresente nei suoi spettacoli), ha gettato il film da lui scritto, diretto e interpretato “I love you, Daddy” in un fazzoletto appicicticcio, e ha coito interrotto la premiatissima serie tv Louie. Il solo nome Louis CK è stato per quasi due anni un tabù negli USA e nel Regno Unito lo è tuttora. Questo è il motivo che lo ha spinto a un tour europeo, che ha già toccato consensualmente Israele e Milano e sta proseguendo in Slovacchia e Ungheria, prima del ritorno in patria.
È cosciente del suo status, Louis, lui che abituato a Broadway ora calca il Sistina, un teatro che promette di ospitare il musical Mary Poppins pur avendo lo spazio di un tinello (“forse Mary Poppins starà ferma qui così, forse si limiterà a rilasciare dichiarazioni”).
Tra il pubblico comunque noto Filippo Giardina, l’uomo che dieci anni fa ha sdoganato la stand-up comedy in Italia. Segno che Louis CK è pur sempre Louis CK.
Che la classe se non sia cristallina è almeno opalescente lo confermano i suoi tre comici di apertura, tutti avviatissimi e già con un proprio special alle spalle su Netflix o Comedy Central. Il primo ad aprire è Keith Robinson, un nero inficiato da un cupo accento pennsylvano e dalla paralisi di metà del corpo che scherza su come l’età lo abbia trasformato in un razzista di situazione. Segue Lynne Koplitz, una donna che cerca di sopravvivere agli squilibri ormonali della menopausa. Il terzo opening act vede l’ipercinetico Greg Hahn, una sorta di Robin Williams in versione marine, snocciolare una furiosa serie di oneliner.
Ma la dimostrazione che Louis CK sia sé stesso eppure un altro, è nella sua di apertura. Contrariamente a ogni altro spettacolo degli ultimi due anni, rimanda a dopo la querelle masturbatoria ed esordisce su come, a 52 anni, sia ripartito da zero. Di come la forzosa solitudine lo faccia sentire in colpa ogni volta che entri in un ristorante deserto. Di come tutti dicano “è nei momenti difficili che capisci chi sono i veri amici” come se fosse una cosa positiva, quando lui preferirebbe campare fino alla morte senza saperlo. Di come ha trovato una donna in Francia ed è finito al Père Lachaise. Di come sia obbligato alle visite ai negozietti di minuscoli villaggi mediterranei, con l’insopportabile campanello tibetano all’ingresso e dove gli oggetti di decoupage siano l’alternativa locale alla canna del gas. Di come l’arrivo di un americano caduto in disgrazia che voglia riciclarsi in Europa costringa professori universitari francesi a ospitarlo a cena per poi cercare di mostrargli empatia parlando un inglese da bambino di sette anni con gravi problemi di tutto.
Non dice apertamente bambino ritardato (retarded). O almeno non subito. Prima usa un eufemismo. Perché ci tiene a sottolineare che negli anni ’70, era retarded l’eufemismo, anzi era il termine tecnico per indicare chi – surprise surprise – aveva effettivamente un ritardo. Poi abbiamo iniziato a usare “ritardati” per descriverci l’un l’altro, invece di usarlo per descrivere i ritardati. Da lì la necessità di usare qualcos’altro.
È questo il vecchio Louis CK, quello che invece del cazzo ci sbatte in faccia il perbenismo. Quello che con uno scatenato pezzo sulle persone senza gambe butta giù la platea, per poi agghiacciarla quando specifica che sono reduci dalla maratona di Boston del 2013. “Vi andava bene ridere degli storpi, ma non di quegli storpi lì. Prima c’era poca informazione, ora troppa informazione”.
Louis CK è il comico che rimette a sedere uno spettatore che è schizzato in piedi al primo accenno di pezzo sull’olocausto. Uno spettatore, fa notare Louis CK che, oltre al non sapere ancora nulla del pezzo e di non avere alcuna parentela ebraica (a differenza sua, nato Louis Székely), ha riso su neri, donne in menopausa, ritardati, francesi, ma non sugli ebrei. Sensibilità alquanto selettiva.
L’imprevisto non lo ferma, la contestazione non lo sconvolge. Quando scopre che pochissimi del pubblico sono credenti, pur abitando a tre passi dal papa, ci scherza per tre minuti buoni. Immagina l’improvvisa conferenza stampa di un Dio così lungamente silenzioso e un Allah che va bestemmiando perché è costretto a cercare decine di vergini dopo un autobus esploso a Tel Aviv.
E parlando di sesso, tutti i peli vengono al pettine. Ecco quello che ha imparato. Se volete tirarvi fuori l’uccello davanti una donna, prima è bene chiedere il permesso. Se acconsente, chiedete “sei sicura?”. E se è sicura, comunque non fatelo. La nostra fortuna, dice, è che nessuno sa quale sia la nostra mania. Tutto il mondo ora conosce la sua. Non può neanche salire su un aereo che un bambino… e qui il bambino immaginario dapprima lo indica e poi fa il gesto di, ehm, suonare il putipù. “Il problema è che è l’unica cosa che mi riesce veramente bene, come faccio a non condividerla? Conoscete qualcuno che fa giocoleria al buio?”
La parte finale dello spettacolo è più veloce, incalzante e immediata. Pezzi come quello sul paragone ferocemente non sense tra vegani e omosessuali, quello sull’adozione, quello di un improbabile film Disney con scambio del corpo tra mamma e figlio, e qualche minuto di crowdplay in cui chiede al pubblico se facciano pranks (zingarate) per poi proporre la più irriverente delle trovate.
Quando, dopo una novantina di minuti, Louis CK sparisce e le luci dissolvono anche solo l’ombra di un bis, la sensazione di gran parte del pubblico è quella di aver assistito alla serata della vita. Roma, antonomasia del declino, è stata solo la sosta di un comico in cerca di riscatto, in fuga dai propri fantasmi, e in attesa del ritorno negli Usa, paese antonomasia di una sensibilità a cui è costretto ad abituarsi anche se non vorrebbe. Paese che comunque lo accoglierà perché, certo, è stato un comico che ha sbagliato…ma forse l’America non può rinunciare a uno dei comedian, la cui forza è sempre stata proprio quella di mettersi a nudo.

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