Era cominciato tutto per caso. La Pippa quel venerdì aveva deciso di fare la pipì fuori dalla lettiera. Giada se ne era accorta la sera verso le otto, mentre stava annaffiando le piante: si era chinata piano piano per non sforzare troppo la schiena sul ciclamino fucsia che continuava a fiorire da anni e anziché avvertire il solito odore piacevole aveva sentito un puzzo tremendo di ammoniaca. Si era guardata un po’ intorno aggiustandosi gli occhiali da miope e nonostante la penombra aveva individuato la pozza di urina. “Ma guarda te che ha combinato la Pippa.” Con la sua calma consueta era rientrata in cucina per prendere lo straccio: la gatta era appoggiata allo stipite della porta e la guardava con la testa leggermente inclinata, come se si aspettasse una ramanzina. “Ma che ti è saltato in mente stasera” le aveva detto Giada senza alzare troppo la voce: la Pippa aveva un carattere particolare, come spiegava costantemente agli ospiti che cercavano invano di prenderla in braccio o di accarezzarla, talmente particolare da ignorare, se ne aveva voglia, anche la sua stessa padrona, con cui condivideva la casa da sempre.
Durante la cena ne aveva parlato a lungo con Ennio: suo marito nonostante fosse tornato stanco morto dal lavoro aveva rinunciato al suo programma televisivo preferito per ispezionare accuratamente la terrazza da cima a fondo alla ricerca di altre possibili tracce di urina e aveva ripassato il cencio imbevuto di disinfettante su tutto l’impiantito. Del resto la Pippa era per entrambi la Pippa ovvero quel batuffolo di pelo arruffato che dieci anni prima, appena sposati, avevano trovato sotto il cassonetto davanti al portone e qualunque suo nuovo comportamento era degno della massima attenzione.
Il giorno dopo al lavoro Giada mentre trascriveva al computer il lunghissimo discorso che il suo capo avrebbe dovuto tenere all’ennesimo congresso di Medicina ripensava ogni tanto alla gatta. La mattina la terrazza era immacolata come la neve appena caduta sul terreno ma la Pippa sarebbe rimasta da sola per tutta la mattina e sarebbe potuto succedere di tutto. Appena stimbrato corse subito a casa. Avvertì l’odore acre e rivoltante appena aperta la porta: una chiazza gigantesca di pipì troneggiava in mezzo al corridoio poco distante dalla ribaltina settecentesca che Giada aveva ereditato dalla nonna. Prese lo straccio e strusciò energicamente il pavimento. La gatta seduta tranquillamente sulla poltrona dove trascorreva la maggior parte delle sue giornate la guardava appena.
Giada chiamò di corsa prima suo marito e poi il veterinario che veniva regolarmente a visitare la Pippa una volta all’anno, visto che era impossibile convincere l’animale a entrare dentro al trasportino per portarlo allo studio. “Signora, stia tranquilla, potrebbe avere una banale cistite. Appena può mi porti un campione di urina che lo analizziamo.” Sembrava che la gatta avesse sentito le parole del veterinario perché nei giorni successivi produsse una tale quantità di pipì che di analisi si sarebbero potute fare a decine, seminandola ovunque, dal tavolo di cucina alla trapunta ricamata a mano del letto, e impregnando col suo cattivo odore tutte le stanze. Peccato che il dottore ormai avanti negli anni avesse scosso la sua testa canuta dicendo: “Ma gli esami non mostrano niente. Non ci sono né batteri né cristalli. E’ tutto perfetto.” Giada era rimasta di sasso ma aveva comunque comprato il costoso integratore a base di mirtillo che il veterinario le aveva consigliato come rimedio ex adiuvantibus, aveva detto lui scandendo bene le parole. “Si dice così in latino, signora, quando proviamo a curare con un farmaco senza conoscere di preciso la diagnosi”. Giada non aveva studiato il latino ma lavorando come segretaria in un reparto di Medicina sapeva bene che spesso i medici brancolavano nel buio. “La medicina è un’arte più che una scienza” diceva in quei casi il suo capo sollevando le sopracciglia. A lei sembrava che più che essere artisti i medici tirassero ogni tanto ad indovinare ma ovviamente non glielo aveva mai detto. Forte di questo pensiero si curava da anni con rimedi omeopatici che le consentivano di affrontare le giornate in cui si alzava già stanca di prima mattina e di attenuare i ricorrenti disturbi intestinali a cui nessun luminare della Medicina ufficiale aveva mai trovato rimedio.
Nonostante il mirtillo, la Pippa non la smetteva di fare la pipì ovunque ed in casa si respirava un tanfo tremendo che sembrava aver addirittura peggiorato la bronchite di Ennio. A quel punto in accordo con suo marito Giada si rivolse ad un veterinario omeopatico, l’unico di tutta la provincia, che in cambio di una discreta parcella si offriva di visitare la gatta a casa. Il giovane nel cui curriculum compariva addirittura un periodo di studio a Parigi prescrisse dei microgranuli di Platina specificamente indicata, come spiegò più volte, per chi avverta un senso di superiorità nei confronti del resto del mondo, inclusa la propria famiglia. E sul fatto che la Pippa appartenesse a questa categoria di esseri viventi Giada non nutriva alcun dubbio, per cui certa di aver trovato la soluzione iniziò la sera stessa a somministrare all’animale i microgranuli. Ma passavano i giorni e la lettiera continuava a essere intatta mentre le pozze maleodoranti di urina erano ovunque, rovinando le tranquille serate che lei e suo marito trascorrevano a casa giocando a burraco o guardando le ultime serie televisive su Netflix. Quando poi era ora di andare a letto Ennio tossiva a lungo prima di addormentarsi per poi cominciare a russare così forte da costringere sua moglie a passare le notti sveglia a rigirarsi sotto le coperte o a girovagare per casa con lo straccio in mano. Giada tornò quindi dal primo veterinario per un ulteriore consulto senza dire niente del rimedio omeopatico. “Signora, quando i medici falliscono ci vogliono gli psicologi. Nel suo caso potrebbe essere utile un comportamentista. Magari è un problema di stress.” “Di stress? Ma come è possibile. Io e mio marito adoriamo quel gatto”. “Dia retta a me, si rivolga a questo mio collega, lui potrebbe aiutarla” le ripeté il veterinario che era ormai alle soglie della pensione porgendole un biglietto da visita. Giada si prese un paio di giorni di tempo: lei agli psicologi non ci aveva mai creduto, e aveva sempre sorriso quando qualche amica bislacca le aveva raccontato di aver tratto beneficio dalle loro cure. Del resto alla psicologia non ci credeva nemmeno il suo capo che con voce sprezzante definiva Freud un medico mancato e si vantava di non avere mai letto nemmeno una riga di quello che aveva scritto.
Ma il problema Pippa persisteva e in qualche modo andava risolto. Il comportamentista risultò essere un quarantenne di bell’aspetto che aveva studiato persino ad Oxford: fece molte domande sia a Giada che a Ennio riguardo alla loro relazione con la gatta e chiese nel dettaglio come la Pippa trascorresse le proprie giornate. Dopo averci pensato su per diversi minuti pronunciò la diagnosi con un tono di voce che non ammetteva dubbi. “È una forma di depressione, la Pippa sta troppo sola, si annoia e le mancano gli stimoli.” A Giada venne quasi da piangere. “Dottore sia io che mio marito dobbiamo lavorare ma vogliamo molto bene al gatto, è la nostra famiglia…”. “Signora evidentemente non basta. I segnali sono chiari. Ha bisogno di un farmaco per uscire da questo tunnel” e prescrisse il Clomixyl, da somministrare alla dose di due ml con una siringa tutte le sere verso le dieci. Dopo che se ne fu andato Giada si accasciò sul divano. Ennio che adorava la moglie, la strinse forte a sé, accarezzandole i lunghi capelli che incominciavano ad imbiancare ma che lei non aveva mai voluto tingere. “Vedrai che supereremo anche questa” le sussurrò all’orecchio. La Pippa si avvicinò cautamente a entrambi e con un salto improvviso saltò in grembo a Giada, lasciandosi accarezzare lo splendido pelo dalle mille sfumature di grigio e iniziando a fare le fusa. Chiunque entrando per caso nel soggiorno li avesse visti in quel momento avrebbe pensato che erano la famiglia più felice del mondo.
All’inizio non fu facile convincere il gatto ad assumere il Clomixyl. La sera Ennio con indosso un paio di guanti da giardinaggio la stringeva in un angolo immobilizzandole le zampe mentre Giada le forzava con la siringa l’apertura della bocca. Ma dopo pochi giorni vuoi perché il farmaco ne rallentava i movimenti vuoi perché il sapore non era dei peggiori la Pippa divenne sempre più docile fino ad attendere addirittura l’ora designata per la somministrazione acciambellata sulla sua poltrona. E nell’arco di un paio di settimane le chiazze di urine scomparvero mentre la lettiera tornò ad essere il suo orinatoio di sempre.
Quel lunedì mattina era una splendida giornata di sole, dalle temperature insolitamente miti per essere solo metà febbraio. Giada decise di indossare il cappotto nuovo che aveva comprato la settimana prima ai saldi. Era stata a lungo indecisa dentro al negozio ma alla fine la commessa con la sua parlantina era riuscita a farle comprare un capo di un bel rosa brillante che strideva parecchio con i grigi od i neri che riempivano il suo armadio. Persino il suo direttore rimase sorpreso appena la vide arrivare al lavoro. “È proprio arrivata la Primavera” esclamò sgranando gli occhi. “Grazie mille professore” le rispose lei sorridendo. La giornata scorse via liscia come l’olio: anche se c’era da registrare numerosi esami di Clinica Medica non provò né noia né stanchezza mentre compilava i registri. E dopo il lavoro si concesse una sosta imprevista. Quindi tornò a casa: la Pippa che era diventata molto più affettuosa del solito le corse addirittura incontro quando la sentì aprire la porta. Ennio rientrando le trovò sdraiate tutt’e due sul divano. “Ma… che hai fatto?”. “Che ne dici? Ti piaccio?” rispose Giada alzandosi di scatto e piroettando su se stessa per farsi ammirare meglio: si era tagliata i capelli corti poco sotto la nuca e se li era tinti di un bel rosso mogano. “Stai bene cavoli”. Suo marito non ebbe tempo di aggiungere altro perché si ritrovò abbracciato a lei sul letto in pochi secondi. Quando si rialzarono entrambi erano quasi le dieci, l’ora della medicina della Pippa. Giada preparò la solita siringa con la dose da due ml di farmaco e la somministrò alla gatta. Mentre Ennio preparava la cena canticchiando intorno ai fornelli, entrò in bagno, aprì l’armadietto dei medicinali e ripose il flacone accanto agli altri quattro ancora da aprire. Poi si girò verso la gatta che l’aveva seguita e che la guardava sorniona dalla porta con i suoi grandi occhi gialli e disse: “Per qualche settimana ne abbiamo abbastanza per tutt’e due”.