Virginia Woolf e l’ultima lettera
Virginia posò la penna sul tavolino e ripiegò con cura la lettera indirizzata a Leonard, suo marito, poi aprì di nuovo il foglio e vergò in fretta la data, 24 marzo 1941.
Virginia posò la penna sul tavolino e ripiegò con cura la lettera indirizzata a Leonard, suo marito, poi aprì di nuovo il foglio e vergò in fretta la data, 24 marzo 1941.
A prima vista sembrava una pallina di marmo dall’aspetto innocuo, e invece era il carcinoma che le avevano appena asportato dal seno.
Era una fredda mattina di gennaio del 1874, non era passato neanche un anno dalle esequie monumentali di Manzoni e Milano si preparava a salutare Giuseppe Rovani, scrittore scapigliato e gran viveur appena spirato, a cinquantuno anni, nella Casa di Salute a Portanuova.
Nella casa di famiglia dove si rintana a leccarsi le ferite, Karen porta con sé i tramonti fiammeggianti sulla savana, l’odore penetrante della sua piantagione di caffè, i luoghi dell’amore con Denis.
Mentre di giorno scriveva di marchesi decaduti e giovinette sedotte e abbandonate, di notte guidava sedute spiritiche, in cerca di fantasmi del passato.
Con gli occhi chiusi e steso al sole delle Dolomiti, Alberto Pincherle, diciassette anni, pensava a come la sua monotona vita da malato fosse cambiata da un giorno all’altro.
Al posto di Poli, il cognome del padre che se ne era andato prima che lui nascesse, ora si chiamava Saba, che in ebraico significa “pane”.
Hemingway lasciò la casa di Gertrude Stein che erano quasi le otto, l’ora in cui i camerieri dei bistrot sulla Rue de Fleurus accendevano i lumi e sistemavano i tavolini per la sera.
Lucini rimase a pensare a quell’uomo egocentrico, che si appropriava di tutto senza restituire niente, avido di gloria e benefici per sé, vanesio e retorico.
Pezzi di vita di stiratrici, servette, maestre, operaie, vite difficili, segnate dalla fatica e dagli stenti.
E così, la notizia che da giorni gira di bocca in bocca presso gli esuli russi è vera: lo zar Nicola II, in occasione dei trecento anni del casato dei Romanov, concede l’amnistia ai fuoriusciti politici dispersi per mezza Europa.
Piumino da cipria, l’ha chiamata Indro Montanelli, in spregio alle sue cronache mondane e ai suoi ritratti (spesso al vetriolo) dei vecchi e nuovi ceti milanesi.
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