“Quante cose ci ha rubato la guerra” di Manuela Barban (Las Vegas)

Scopriamo una storia familiare ambientata negli anni della Seconda guerra mondiale, tratta dalla vera storia dei nonni dell’autrice ricostruita dalle loro lettere.

Storie di persone normali che si trovano a vivere eventi eccezionali. Succede questo alle persone in tempo di guerra. Riemergono lettere e una nipote prova a trovare la mappa, come i sassolini di Pollicino, che riporti a galla la storia della nonna e del nonno, ognuno, separato dall’altro, impegnato a sopravvivere alla guerra, alla mancanza di cibo, al sospetto, alla noia, al bisogno di emancipazione femminile. Goffredo, detto Fred, e Silvana sono una coppia giovane che vive a Trieste, lui operaio all’ILVA, lei casalinga, dedita all’amore coniugale e alle attenzioni per la bambina appena nata, Egizia.

L’armistizio dell’8 settembre li separa fino alla fine della guerra, lei viene accompagnata ad Albisola, in provincia di Savona, mentre lui tornerà a Trieste, a lavorare e a mantenere a distanza la famiglia. Qui Goffredo verrà invitato a entrare in una brigata partigiana e subirà il fascino inquietante di un giornalista tedesco, Johannes Neumann, innamorato della ex fidanzata, moglie del Colonnello Von Stauffenberg, implicato nel complotto per uccidere Hitler. Le tensioni tra bene e male, umanità, senso dell’onore e paura aprono crepe nell’anima di Goffredo, ma mantengono salda Silvana, che continua ad amarlo, pur restando fedele all’idea che una donna ha il diritto di lavorare e non appartiene né al marito, né alla famiglia di lui.

Le distanze delle loro vite si tramutano in disperate confessioni amorose e litigi sulla carta, in una serie di lettere in cui lui non racconta, per non metterla in pericolo, la sua scelta di unirsi alla brigata partigiana, e lei invece ribadisce il suo desiderio, che non toglie nulla all’amore per il marito, di essere autonoma, libera dalla sorveglianza dei suoceri. Gli scioperi degli operai, i rastrellamenti, le epurazioni massive rendono il loro tempo quello pericoloso di un mondo collassato, affogato e ormai destinato a cambiare.

Silvana, in una lettera accorata, chiede a Goffredo, e lo chiede anche un po’ a chi legge, “ma quando sarà terminato l’amore che ancora ci unisce, cosa sarà di noi?”, perché oltre quell’amore c’è un futuro incerto e disturbante. Eppure l’amore immaginato, tenuto in vita dal ricordo, resta in attesa, una piccola luce nel buio.

Scoprendo le lettere, l’autrice mette insieme le parole furiose e intense delle persone, amate e ai suoi occhi sconosciute, che hanno contribuito alla sua esistenza. La loro gioventù disperata, tradotta in parole e offerta, lucida, agli occhi del mondo.

 

Ancora una volta ti ringrazio per l’aumento di stipendio, non era tuo dovere sai, e non è mio diritto: ho solo tanto amore e tutto passa in seconda linea, cioè dopo il mio amore e il mio orgoglio.

Voglio una spiegazione chiara e netta a questa tua frase: ‘litighi con mia madre al solo scopo di consolidare la tua indipendenza e di sfuggire ai suoi occhi’. Mi avevi lasciata a balia? Sotto tutela? Ti prego di darmi una spiegazione meno subdola e più chiara, perché io non ho da nascondermi agli occhi di nessuno e a quelli di tua madre men che meno”.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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