Parliamo del romanzo “A metà strada” con Silvio Moretti

Una storia in cui si racconta, con serietà ma anche con leggerezza, il rapporto fra mondo terreno e ultraterreno.

Mi piace pensare che un legame tra noi che siamo qui sulla terra e i nostri cari nell’aldilà permanga.

 

Inarrestabile, Silvio Moretti, nonostante le mille insidie che il tema della vita oltre la morte poteva comportare, ha saputo dribblarle con arte e trasformarle nel suo primo romanzo, A metà strada, edito da Scatole Parlanti. È la storia di Andrea, che scompare prematuramente per un infarto ma che non riesce ad abbandonare la terra dei vivi, perché ha ancora qualcosa da “dire” a suo figlio Giuliano. Vediamo così il contrasto tra la vita terrena nella quale si muovono i suoi cari e quella ultraterrena di cui lui cerca di imparare confini e regole. Insieme a Luigi Annibaldi abbiamo accompagnato l’autore nella scrittura di questo romanzo, che è nato tra i banchi della Scuola Genius e ha visto Silvio superare ogni ostacolo che i suoi personaggi gli ponevano di fronte.

 

Come nasce l’idea di A metà strada?

Chi non desidererebbe almeno una volta poter parlare con un proprio caro scomparso? E forse lo stesso desiderio è nelle anime dei nostri defunti. Il libro nasce proprio da questa domanda che in tanti si pongono e che anch’io più volte mi sono fatto e che ha dato l’avvio al romanzo.

Nel mio romanzo la scintilla che ha acceso la storia si ricollega a un fatto veramente accaduto. Io ho perso mio padre, cui il libro è dedicato, quando lui era ancora giovane e io avevo appena compiuto trent’anni. Di me, di quello che avrei fatto in seguito, del mio lavoro, della mia famiglia, lui non ha potuto vedere nulla. Mi sarebbe piaciuto poter parlare con lui, confrontarmi con lui e vederlo invecchiare.

 

Come ci si sente a essere uno scrittore, ad aver pubblicato il primo romanzo?

Per me è stata un’emozione fortissima. Quando si scrive una storia o un romanzo naturalmente si pensa alla sua pubblicazione come punto di approdo. È un’aspirazione che si può anche non concretizzare: sono tanti gli scrittori che propongono alle case editrici i loro lavori. Quando il libro viene scelto vuol dire che qualcuno avendolo letto l’ha ritenuto valido perché sia proposto ai lettori. Insomma il libro, che prima era solo “tuo”, diventa anche di altri.

 

In A metà strada metti in scena un padre, Andrea, che dopo morto è in grado di seguire la vita di suo figlio Giuliano, credi che ci succeda davvero questo quando lasciamo in sospeso un forte legame sulla terra?

Mi piace pensare che un legame tra noi che siamo qui sulla terra e i nostri cari nell’aldilà permanga. Un padre, Andrea, morto prematuramente, “osserva” la vita del proprio figlio Giuliano e pensa di poterne condizionare gli eventi, come aveva cercato di fare durante la vita. Pur non essendo un romanzo autobiografico anche a me è accaduto, come all’inizio del romanzo a Giuliano, di avere un incidente d’auto dal quale sono uscito quasi miracolosamente illeso. E in quella occasione ho pensato che, forse, mio padre da lassù mi avesse aiutato, come Giuliano pensa che sia accaduto a lui nel romanzo.

 

Quali sono state le parti più difficili del tuo romanzo da scrivere?

Indubbiamente la parte più difficile è stata quella di far parlare un morto. È vero, si dice “morto che parla”. Però farlo in un romanzo non è stato facile. Innanzitutto perché correvo il rischio, da un lato, di un confronto con l’alta letteratura, basti pensare solo a Dante Alighieri che fa parlare le anime nella Divina Commedia, e dall’altro era facile scadere nella “macchietta” del morto che sta sulla nuvoletta, come alcune pubblicità o film ci hanno mostrato.

Anche descrivere l’aldilà non è stato semplice. È un aldilà, come lo immagino io. Probabilmente non è quello dei credenti.  Non volevo dare al lettore immagini terrorizzanti rispetto a quello che accade dopo la morte. Per questo ho cercato di trattare questi temi come l’aldilà e la morte stessa, importanti nella loro tragicità, con serietà ma con leggerezza.

 

Credi che ci sia sempre un non detto tra genitori e figli che, se non lo affrontiamo, può trasformarsi nel nostro più grande rimorso?

Il rapporto tra padri e figli è sempre complesso e forse proprio per questo affascinante. Per quanto i rapporti possano essere improntati alla massima sincerità rimane sempre un non detto, soprattutto se il rapporto si interrompe all’improvviso o addirittura in maniera violenta (come nel caso di Andrea che muore per un infarto). Quando il discorso rimane in sospeso, cioè a metà strada, subentrano il rimpianto e il rammarico per non essere riusciti a dirsi tutto. Forse per pudore, o molto spesso per l’intransigenza dei diversi caratteri. Infatti tra Andrea, fino a quando era in vita, e suo figlio c’erano state incomprensioni profonde, litigi fino a momenti di separazione.

 

Eugenia, la moglie di Giuliano e nuora di Andrea, è un po’ il nume protettore di questa storia, c’è qualcuno a cui ti sei ispirato per raccontare il suo personaggio?

Eugenia è un personaggio di grande significato nella storia che racconto. È una donna dolce e al tempo stesso decisa, volitiva. Per usare un’espressione non proprio letteraria, si potrebbe definire “tosta”. Sa quello che vuole. Eugenia rappresenta un “ponte” tra Giuliano e suo padre. È un personaggio “eroico” per certi versi, dotato di grandi slanci ideali e tuttavia non privo della concretezza necessaria per affrontare le vicende umane. Giuliano lo sa e considera una fortuna averla incontrata e fortemente voluta. Non mi sono ispirato a una persona in particolare. Ho voluto tratteggiare con Eugenia il personaggio della donna, come io credo possa e debba essere la donna nella nostra società.

 

In che modo la Scuola Genius ti ha aiutato ad affrontare i momenti più complessi della scrittura della tua storia?

Il suo apporto è stato prezioso in particolare per due aspetti. Il primo, quando pensavo che il romanzo non riuscisse a decollare, a far maturare in me la consapevolezza che, sia pure con alcuni aggiustamenti, affrontava un tema importante. Gli editor avevano intuito che era una storia che sentivo molto e che sarebbe stato un peccato abbandonarla. L’altro prezioso suggerimento è stato quello di consigliare di “mettere in scena” le vicende dei personaggi, non raccontarle ma far vivere i personaggi da protagonisti con le loro gioie, le loro ansie, i loro difetti, perfino le loro manie, in modo che il lettore potesse immedesimarsi in essi. Spero di esserci riuscito.

 

Qual è la scena del romanzo a cui sei più legato?

È quella che definisco della libellula. Giuliano interpreta un segnale positivo, dopo le vicissitudini che ha vissuto, sotto forma di una libellula che si posa proprio su una pagina di un libro, che Giuliano sta leggendo, dello scrittore Achille Campanile amato sia da Andrea che da Giuliano, in cui si parla delle anime dei morti che vanno a trovare i propri cari dai vetri delle finestre. Per Giuliano la libellula è il segno che il peggio stia passando e che i morti non abbandonano mai i loro cari. Da una finestra sente la musica di Glenn Miller, quella che piaceva ad Andrea.

 

C’è una parte del romanzo che hai tolto perché non faceva progredire la storia ma a cui sei legato e che ti sei detto che un giorno utilizzerai?

In realtà ce n’erano più d’una. In particolare però quella a cui ero più legato riguardava la evoluzione della malattia di Alzheimer della madre di Giuliano. Mi piaceva perché mi ricordava un vissuto personale, seppur triste, ma non aiutava l’evolversi del romanzo. Chissà, forse la potrei recuperare per un nuovo romanzo o per un racconto breve.

 

Stai pensando a un secondo romanzo?

Sì e per la verità lo sto già scrivendo anche se sono solo all’inizio e tratterà il tema dell’amicizia.

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Lucia Pappalardo

Giornalista e filmaker per RaiUno, RaiDue e RaiGulp, ha insegnato “Film and Television Language” all’Università Link Campus. È tra gli autori di Nesssuna Speranza Nessuna Paura (Festival di Roma 2011), Finestre Rotte: Francesco De Gregori (Festival di Venezia 2012). Nel 2016 con il corto Nata viva ha vinto il premio Capodarco L'Altro Festival - L'Anello Debole. Per Radio 24 del Sole 24 Ore è stata la regista del programma Melog.

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