“Mappe dei nostri corpi spettacolari” di Maddie Mortimer – traduzione di Paola Moretti (Il Saggiatore)

In questo romanzo bellezza e gentilezza diventano una forma di resistenza contro l’insensatezza dei nostri simili, la loro indifferenza e la natura ineluttabile del nostro divenire.

I nostri corpi non sono macchine, soggette alla divisone cellulare, blastocisti (stadio iniziale dello sviluppo embrionale), globuli rossi e materia mitocondriale. I nostri corpi sono dotati di una vita separata da noi, eppure sono parte inseparabile di noi. Questo libro è la storia, o un certo pezzo di storia, della neoplasia maligna di Lia che, a partire dal tessuto dei linfonodi del seno, le cresce dentro e l’accompagna in maniera continua e fedele per molto tempo.

Lia è cresciuta in una canonica inglese, in una forma di isolamento sottile quanto brutale, dove il padre, che lei chiama ostinatamente Pastore Peter, ha sempre osservato con divertito distacco la figlia e il suo talento visivo e pittorico, mentre la madre lo ha apertamente osteggiato, giudicandolo frivolo. Le ragazze sono fatte per altro, magari per la devozione assoluta e assorbente verso un Dio dal quale Lia si allontana ogni giorno che passa.

La vita del compatto e al tempo stesso disgregato gruppo familiare inizia la sua lenta decomposizione quando Matthew, ragazzo orfano, reduce dal tristissimo e solitario funerale del padre, chiede ospitalità e assistenza materiale a Padre Peter che, in quanto pastore e custode della comunità, non può rifiutare.

Tra lui e Lia esplode una deleteria passione, simile a una malattia, qualcosa di famelico che a un certo punto, a causa di un evento drammatico, non può più essere nascosta.

Quando è in compagnia di Matthew, Lia sente la sua pelle brillare, il suo intero mondo fatto di ribellione adolescenziale e bisogno di rivendicazione trova forma nel piacere sessuale condiviso. L’allontanamento di lui dalla sua vita è il momento traumatico, il dolore che permette alla prima cellula cancerosa di sfondare il nucleo mitocondriale ed entrare indisturbata nel corpo di Lia, fino a possederlo completamente.

Nel tempo che passa tra la rivelazione del tumore, la chemioterapia e la presa di coscienza della vita adulta, Lia ha modo di rincontrare Matthew, di mettere a fuoco la distanza tra i loro due corpi, il tradimento e l’abbandono grave come un lutto, una perdita che rimane uno spartiacque doloroso. Perché Lia va avanti con il marito Harry e la figlia Iris, una ragazzina dodicenne talentuosa, brillante e testarda, che vive la recidiva della madre con rabbia e paura, nell’età al confine con l’ingannevole spensieratezza dell’infanzia e la crudeltà dell’adolescenza, il corpo in mutamento, i desideri adulti e confusi che iniziano a trovare una strada visibile.

Attraverso il corpo in disfacimento di Lia, che vive una vita a tratti autonoma e separata, sentiamo le sensazioni palpabili e potenti di ognuno dei componenti di questo nuovo nucleo familiare a tre che prova a sopravvivere bilanciando l’esatto valore delle parole con possibilità diverse, quasi che dietro il loro significato preciso, evidente, ce ne fosse un altro, nascosto tra le pieghe, un tesoro noto solo a chi lo scorge. Bellezza e gentilezza diventano una forma potente di resistenza contro l’insensatezza dei nostri simili, le loro indifferenze e la natura ineluttabile del nostro divenire, la condanna che portiamo dentro a ogni nascita.

C’è qualcosa di crudele in chi è destinato a sopravvivere, perché la luce ritorna e ti conduce ai doveri, ai progetti, al bisogno. Siamo consegnati alla vita e alla morte in continuazione, sia che accettiamo la nostra natura, sia che, increduli o immersi nell’illusione della gioventù, ne rifuggiamo. Non c’è altro da dire. Siamo vivi finché è possibile, provando a dare ordine al caos della nostra oscurità, della nostra incoerenza, la nostra estrema fragilità. Ed è nel sentire la bellezza e la connessione con le energie sotterranee e liminali che diamo senso al nostro stare al mondo, in questo tempo, nello spazio che occupiamo, le nostre braccia alzate a proteggerci gli occhi dalla luce accecante come metafora del nostro essere effimeri, nient’altro che umani senza mappa che tracciano flebili archi d’amore.

 

“La giornata era piena di clamore.

Tutti sembravano a un passo dalla catastrofe.

Iris appoggiò piano la testa contro il braccio di Lia per un attimo, prima di allungare la mano per immergere le dita nella pittura gialla. Allungò il braccio e segnò la fronte di sua madre come a benedirla e poi fece lo stesso per sé. Lia sorrise tristemente ed entrambe continuarono a dipingere con i loro tatuaggi a triangolo abbinati, ognuna con il proprio rullo che spingeva, ricopriva, spugnava più forte a ogni passata come se potessero cancellare tutti gli avvenimenti e ricominciare da capo”.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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