C’è un romanzo appena pubblicato che racconta di un anno scolastico negli anni ’70, di una ragazza adolescente alle prese con le prove più difficili della sua giovane vita. Non è sola, ha i suoi amici accanto a sé, soprattutto un’amica, ama lo sport, la musica e sente la consapevolezza del ruolo nuovo che la storia comincia ad affidare alle donne. Il romanzo s’intitola Salta senza paura (Ultra 2024) e lo ha scritto Francesca Gramegna, con uno stile sicuro e molta passione, in un italiano attraversato con abile disinvoltura dal napoletano degli adolescenti. Nella trama del romanzo, tra battute divertenti (“Era inutile continuare a parlarci con quella di scienze ca tene l’apertura mentale di una vongola guasta”) e riflessioni amare (“E po’ penso che è tutta colpa di mio padre, che se fosse uno con cui si potesse parlà io non ci avevo bisogno di scappare e fare l’autostop e mettermi nei guai”), alle scelte di vita della protagonista e agli eventi comuni a tante e tanti giovani, si intessono senza disturbare la lettura i segni di un mutamento storico che ha trasformato più di una generazione. È un romanzo per tutti, ma che – secondo me – potrebbe trovare un certo ascolto anche tra i ragazzi, quelli che si dice che non leggono mai, potrebbero ritrovarci i tratti distintivi della loro età. E adesso ne parlo con l’autrice.
Francesca Gramegna, come nasce l’idea di questa storia?
L’dea nasce cinque o sei anni fa, quando un giorno mi sono seduta a scrivere e non ho più smesso e dormiva in un cassetto insieme con altre a farle compagnia. Quando ho iniziato il corso di scrittura Genius fra tutte è stata quella che mi ha chiamata, la voce di Bianca, la protagonista, si è mescolata con la mia e siamo andate avanti insieme di pagina in pagina.
La storia comincia a ottobre e si conclude a luglio, nell’anno della maturità, di che anno si tratta?
L’anno è il 1978, l’anno della legge sull’aborto e due anni dopo il primo processo pubblico per stupro, quello di Verona. Gli anni Settanta sono stati ricchi di fermenti culturali a partire da quello in campo musicale, così importante per i giovani e, sulla scia del ’68, anni di proteste e di rivendicazioni ma anche di conquiste per le donne: le leggi sul divorzio del 1970, quella sul diritto di famiglia del ’75 stavano stravolgendo gli equilibri sociali e le istanze femministe erano sentite fortemente. È anche l’anno buio del rapimento Moro e delle strategie della tensione, dopo la strage di piazza Fontana fino a quella di Bologna. Sono le rivendicazioni femministe che però entrano maggiormente nella mia storia, che Bianca fa sue per le vicende in cui si imbatte e che le fanno sentire sulla pelle il senso di vulnerabilità e di pericolo in quanto donna.
Chi sono Loredana e Bianca in questo romanzo?
Bianca è la protagonista del romanzo, Loredana è la sua migliore amica, e nella loro complementare diversità sono molto legate. Alle insicurezze e paure di Bianca si contrappone il carattere forte e generoso dell’amica. Sono anche compagne di classe e questa condivisione, oltre alle affinità nell’essere giovani donne in crescita con le curiosità e gli slanci dell’età, le avvicina sempre più nel corso della storia.
Che cos’è il Grande Salto, che compare nel libro?
Il Grande Salto è il tabù da infrangere, è il simbolo di un passaggio di crescita, è il mettersi in gioco. In seguito a un episodio scatenante, Bianca inizia la rincorsa verso la conquista dell’autonomia e il Grande Salto, desiderato e temuto, è una delle prove da vivere e superare.
A un certo punto scrivi: “A volte siamo noi stessi che ci vietiamo di vivere”…
È la frase con cui una insegnante prova a scuotere Bianca che, nel suo sentirsi solo vittima delle imposizioni del padre e schiacciata dalle sue oppressioni, non riesce a vedere le possibili alternative nelle sue scelte di vita. È una difficoltà peraltro molto comune e che spesso ci tiene attaccati alle nostre sofferenze per la paura di affrontare un cambiamento.
Nel testo utilizzi il napoletano oltre all’italiano, con quale lingua ti trovi più a tuo agio quando scrivi?
Mi viene spontaneo scrivere in italiano ma quando ho colto lo stimolo di Genius a scrivere utilizzando anche la mia lingua di nascita ho sentito che nelle mie pagine entravano calore e colore e questo ha dato un carattere di maggiore autenticità a tutta la narrazione. Aggiungerei che la trasposizione scritta del napoletano mi ha impegnata tantissimo e, anche se è una lingua molto masticata ovunque, per me è stata una scelta coraggiosa.
Mi sembra che uno dei temi importanti di questo libro sia non solo l’amicizia, ma anche lo sport, in fondo i due argomenti sono abbastanza vicini, no?
La lealtà credo sia l’elemento comune più importante. E poi la gioia della condivisione di obiettivi comuni e la possibilità di divertirsi insieme e di crescere insieme. Nella vita dell’adolescente sono pilastri fondamentali. Affiancherei allo sport le attività artistiche e di volontariato: cantare in un coro, fare teatro, seguire un laboratorio di pittura o scrittura, aiutare gli altri significa comunque far parte di una squadra che aiuta il processo di identificazione e di crescita. Bianca cresce sperimentandosi molto, a volte esagera e corre qualche rischio ma poi ci sono gli amici ad aiutarla.
E lo sport scelto non è tra i più frequentati, l’handball, perché lo hai scelto?
Bisogna scrivere di ciò che si conosce bene, ho letto altrove e mi è stato insegnato anche nel corso che ho seguito qui con Genius, e io ho sentito queste parole molto vere per me, esordiente quale sono. Sono stata una giocatrice di handball dai 18 ai 28 anni ed è stata un’esperienza importante nella mia vita, che mi ha vista anche allenatrice per alcune stagioni. Avrei potuto far diventare Bianca una giocatrice di pallavolo, sarebbe stata più popolare e riconoscibile da molti, ma forse non avrei dato altrettanta autenticità agli eventi sportivi presenti nel libro.
I proventi della vendita di questo libro vengono devoluti da te a due associazioni che fanno capo al Liceo Montale di Roma, come mai questa scelta?
Risponde al mio desiderio di fare volontariato attivo che per impegni di vita e motivi di salute non ho potuto fare se non con interventi piccoli e saltuari. Nel momento in cui è arrivata la pubblicazione il mio pensiero, come un lampo nella mente, è stato chiaro e luminoso subito: “Che il mio dono diventi un dono”. Nel liceo Montale ho insegnato per 24 anni, e i miei studenti sono stati uno dei motori che mi sostenevano durante la scrittura. Mentre scrivevo pensavo a loro. Così ho chiuso il cerchio.
Tu hai lavorato con Luigi Annibaldi e Flavia Ganzenua, oltre che con me, in che modo i laboratori di scrittura ti hanno aiutata a scrivere questo romanzo?
In un modo magico e strutturato al tempo stesso. Mi spiego: facevamo lezione, eseguivamo gli esercizi, mi giungevano le correzioni, ci ragionavo su, riscrivevo, e progressivamente cambiavano delle cose nel mio stile e nel mio approccio. Ma poi è successo che dall’oggi al domani qualcosa su cui non avevo lavorato in maniera metodica improvvisamente subisse una trasformazione radicale. È un processo che ho sperimentato personalmente anche nell’apprendimento sportivo o nella danza, meno in quello cognitivo. Penso sia qualcosa che ha a che fare con la creatività, processo misterioso e magico la cui chimica viene favorita all’interno di un laboratorio. L’insegnante in questo caso diventa un catalizzatore e, quando il supporto e l’incoraggiamento sono calorosi, come nel tuo caso e di Luigi e Flavia, in cui puntualità e professionalità si fondono con efficaci iniezioni di fiducia, la libertà di esprimersi prende il volo.