Esistiamo in una realtà palpabile e sensibile in quanto corpi. E per questo motivo abbiamo una serie di esigenze legate alla corporeità. Esigenze a volte scomode, o ingombranti o imbarazzanti. Eppure, non possiamo smettere, finché siamo corpi. Ma quindi siamo corpo o abbiamo un corpo, da nutrire e proteggere, che è solo l’involucro che cela l’anima? In un mondo che vive di immagini, dove per avere certezza di chi siamo chiediamo agli occhi degli altri di definirci, ha senso cercare di indagare cosa ci rende umani?
L’autrice compie un percorso a ritroso, tra la sua storia personale di ragazzina e poi giovane adulta abituata a confrontarsi con corpi che per essere perfetti devono avere leggiadria, controllo dello spazio e un’inconsistenza, quando non esplicitamente richiesta, auspicata e velatamente augurata. Il mondo della danza classica vive di corpi eterei, dove l’equilibrio si raggiunge meglio con un peso corporeo mimino, quando si riesce a volteggiare e a suscitare nell’avido occhio di chi guarda l’annullarsi, pur se momentaneo, di ogni barriera tra la trascendenza e l’immanenza, quando per un istante il piede del ballerino sembra staccato dal dominio della forza di gravità, e di ogni altra forza che non sia la sua propria capacità di restare sospeso nell’aria.
La ricerca di corpi perfetti ha qualcosa di brutale, annichilente, anche tra chi la pratica. Ammesso che sia possibile avere un corpo perfetto, che risponda ai parametri ai quali aspira chi lo ricerca. Per la scrittrice tutto inizia dal bisogno di distinguersi dal fratello che vuole essere un body builder, con massa muscolare perfetta. In questa ricerca di perfezione ci sono cadute negli steroidi anabolizzanti, come accade a molti body builder americani. Nelle storie di alcuni e alcune di loro traspare spesso una grande ingenuità da parte di persone giovani, convinte che gonfiarsi i muscoli sia la strada ottimale per arrivare al successo. Un po’ come è avvenuto per Arnold Schwarzenegger che, partendo da una oscura cittadina austriaca, è diventato un simbolo di successo inarrivabile.
L’occhio del mondo inoltre non è affatto benevolo nei confronti dei soggetti di genere femminile che scelgono di intraprendere la carriera agonistica di body builder. Anche qui la misoginia ha la sua parte inestirpabile: una donna scultorea, liscia, con i glutei scolpiti, ma senza alcuna forma morbida e sinuosa che riecheggi la femminilità inquieta e turba, al punto da andare incontro a una sorta di condanna mediatica, di rifiuto. Il corpo che espone forme muscolari dilatate va bene per un soggetto maschile, ma non per uno femminile, quando da sempre le ragazze devono essere ammantate di dolcezza e zuccherosità ammiccante, il loro corpo deve evocare la placidità accogliente della possibile maternità. Per questo un corpo femminile levigato e liscio viene giudicato non conforme alle aspettative e cassato.
Il primo giudice impietoso è il nostro sguardo riflesso allo specchio, quando l’immagine che ci rimanda non ci soddisfa, e allora dobbiamo controllare il peso per essere più dinamiche, più carine, e soprattutto più funzionali. Se si riesce a ingannare il senso di fame con esercizi, tempi da riempire con impegni continui, corse e scadenze, allora somiglieremo all’idea che abbiamo di noi stesse. Solo che… quando si ferma questo processo? Ingannare la fame e il bisogno che ha il corpo di essere nutrito è un esercizio sfiancante, una guerra di trincea senza pause. Nella ricerca spasmodica di magrezza estrema richiesta in molte discipline sportive nascono i primi segnali di disturbi del comportamento alimentare. Ed è un tabù, questa imposizione di fisicità ridotta, una forma omertosa che da poco abbiamo visto iniziare a essere scardinata da chi l’ha attraversata, quando alcune tra le ballerine più famose la negavano spudoratamente, nel bisogno di proteggere il medesimo sistema che le nutriva e le deificava, elevandole molti gradini sopra la mortalità.
C’è una catena, un legame doloroso potente e denso come il sangue, quello che attraversa le storie narrate nel libro, fino a comprendere quella personale dell’autrice che racconta in maniera impietosa il suo vissuto, fino a esporre, in maniera lucida, quello che le persone con i loro corpi non conformi (ammesso che abbia senso trovare una conformità) fanno provare a chiunque li guardi. Cosa spinge le persone a rischiare la vita, pur di assomigliare a quell’ideale introiettato che ormai dà senso a ogni giornata? Cosa ci attira e ci repelle al contempo in un corpo ipertrofico e in uno scheletrico, minimale? Forse la possibilità, insita in ogni essere umano, di espanderci e restringerci, a seconda del bisogno, se conserviamo una volontà ferrea, senza cedimenti. La visibilità di un corpo è direttamente proporzionale alla sua unicità, la sua attrattiva è rappresentata dal superamento dei limiti, quel filo sottile che ci lega alla nostra realtà spazio-temporale, non annullabile se non per poche occasioni come il volo. Forse i corpi non conformi ci attraggono come ci attrae il pericolo, la mancanza di buon senso. Forse quello che spinge le persone a inventarsi un corpo che somigli a quello che vogliono è una immensa fame di attenzione, un bisogno divorante di avere successo, di risultare visibili, e forse, per questo, amati. Almeno questa è l’impressione che il libro mi ha lasciato dentro, un’impronta che somiglia a un artiglio nella sabbia soffice.
“Il bambino ha agito, la bambina ha guardato. È così che si fissano i ruoli familiari: qualcuno si arrischia, qualcun altro rimane a guardare. Come nelle fiabe, io e lui rimarremo ibridati perennemente in un maleficio che si ripercuoterà sui nostri corpi. Corpi che cercheranno protezione, attenzione. E che si deformeranno di conseguenza.
Un corpo troppo grosso o troppo magro vive della stessa illusione di sentirsi al sicuro dagli attacchi esterni. Si confina. La massa crea un argine invalicabile, così come le ossa. Il corpo diventa un’isola protetta. Si vive nell’idea confusa che la chiusura serva a protezione. Lui si è sentito forte ricoperto dai muscoli, io mi sono sentita inattaccabile svuotata delle carni. Osare col corpo, correre il rischio, sostare sul margine precario che tiene insieme e separa il desiderio dal pericolo, l’istinto dalla ragione, la sfida dall’assennatezza.
Siamo simili, siamo nati con un lato terribile. Volevamo tutto. Desideravamo in maniera spasmodica, dolorosa. Volevamo possedere cose che non potevamo avere. Volevamo le persone, le attenzioni, l’amore. Desideravamo una vita larga. E ora?”