L’intensità di questi racconti e del romanzo breve, quello che dà il titolo all’opera, ci trascinano in un mondo che potrebbe esistere, considerati gli interventi, inquietanti, dissennati, del genere umano sulla Terra. In un mondo distopico, ma forse non così lontano, il legame tra uomo e terra è diventato cenere, polvere, spesso vendetta. In Botswana, luogo natale della scrittrice, e in tutta l’Africa Meridionale, esistono intelligenze capaci di schiavizzare brutalmente esseri umani, tecnocrati che li riducono a zombie in cambio di pasti garantiti e un’assistenza sanitaria adeguata. La Terra ha reagito alla poca cura che il genere umano le ha riservato smettendo di dispensare doni, e diventando un organismo sensibile a ogni offesa, pronta a reagire con veemenza e a punire, dissolvendo i corpi di chi non la onora.
Ma nel romanzo breve, Totem nelle nostre ossa, la potenza di scrittura è capace di scuoterci, per la capacità evocativa e descrittiva nel narrare un mondo matriarcale in cui gli uomini sono considerati Peccati da osservare o da rinchiudere. Esasperate dai femminicidi continui 38 donne, che poi sono diventate le Antenate, hanno creato una città prospera e felice, senza malattie o morte, in cui spesso l’età delle sue abitanti si arresta prima dei 30 anni, o anche prima dei 20, e hanno espulso i maschi (con pochissime eccezioni). Gli unici uomini ammessi devono dimostrare di avere pensieri limpidi altrimenti vengono esiliati in una città prigione, dove la povertà e la miseria regnano indisturbate e i delitti anche. La pelle delle donne brucia qualunque contatto inappropriato, e alcuni uomini corrono il rischio di ustioni permanenti o di morte per soddisfare i loro impulsi.
In una realtà dove l’eterosessualità è molto scoraggiata vive Sewelo, con il fratello Mikel e la sorellastra Veronika, fino a quando alla famiglia si unisce il suo fidanzato Seabe. Seabe, come tutti i maschi, è monitorato e tracciato, i suoi pensieri vengono scannerizzati attraverso un microchip che ha al polso e che con il verde segnala la purezza del suo cuore. Ma è davvero tutto così controllabile? L’imprevista scomparsa di Mykel e gli attacchi impensabili alle Antenate mettono in pericolo le fondamenta della civiltà matriarcale di Uhuru al punto da spingere le forze difensive a far trasformare le donne negli animali totemici che, nei periodi di pace, riposano al sicuro nelle ossa delle loro custodi. Non ogni malvagio è tale, e non ogni maschio è un Peccato; tuttavia, spesso i maschi vogliono cambiare genere per godere di condizioni di vita migliori. La guerra che sta per scatenarsi, sotterranea e fratricida, vede schierate le aspirazioni di Sewelo, vero cardine della storia, a una vita senza predominanze di genere. Perché anche un mondo in cui il genere privilegiato sia quello femminile non può, per ciò solo, essere giusto.
È una storia d’amore, di tradimento, di rivendicazioni (Sewelo è bisessuale, anche se le sue relazioni più importanti sono state con uomini, e alcune molto violente), ma è anche un giallo ecologico a tinte scure, intrise di dolore, un dolore che si diffonde come sangue nell’Oceano, a macchie, dove la verità viene svelata solo nelle ultime pagine. Ma per me rimane un romanzo sulla ricerca, incessante, di essere sé stessi, fedeli alle proprie contraddizioni, pieni di curiosità verso le scoperte che la nostra anima racconta al corpo. Perché in ultima analisi è questo il tema centrale del romanzo: siamo tutti connessi, la nostra anima e i nostri corpi ai corpi di chi entra in contatto con noi, e alcuni di questi contatti ci svelano cose che abbiamo bisogno di sapere.
“Sento che qualcosa in me manca. A scuola non ho mai visto distinzioni di genere, ma il mondo ti costringe a vederla. La impone su di te e contro di te. Durante le riunioni, le discussioni, le critiche. Io vedevo solo una classe piena di persone che potresti superare a prescindere da chi o cosa sei. Un mondo pieno di persone con cui puoi relazionarti, che puoi baciare o andarci a letto. Era la sensazione di un mondo senza confini. Ma il mondo ha un modo per addossarti il suo peso, lasciarti senza fiato, importi cose. Le barriere, i confini, sono dappertutto e, a volte, vorrei che non ci fossero, che potessi tornare indietro a quei tempi in cui non vedevo nessuna differenza, in cui il mondo per un istante sapeva di libertà”.