Il teatrino delle ombre

La luce di un antico candelabro fa sfumare la realtà nel sogno e viceversa.
«Un candelabro per un party di Halloween, dice?»
Arthur Barrie, proprietario dell’Antique Soul Bazar, prese a strofinarsi la barba ispida sul mento, pensando a come accontentare la richiesta della cliente che annuiva sorridendo dall’altra parte del bancone. Edith Evans era entrata nel negozio pochi minuti prima, in cerca di decorazioni a buon prezzo per il party che lei e sua moglie Grace, più lei che Grace in realtà, volevano organizzare per quel fine settimana.
Dopo qualche istante di riflessione il rigattiere sembrò colto da un’idea e le fece cenno di attendere. Entrò in uno stanzino passando dalla porta dietro la cassa, si sentirono diversi tonfi di scatole, tintinnii di vetro e grugniti di fatica, una pallina rossa di Natale rotolò da sola fuori dalla porta e venne poi calciata via dall’uomo, che riemergeva dallo stanzino reggendo una scatola in mano. La poggiò con poca grazia su bancone davanti a Edith, alzando una piccola nube di polvere, e ne estrasse un candelabro mezzo avvolto nella carta di giornale. «Questo ce l’ho da un po’» disse Barrie scartando l’oggetto, «me lo aveva portato un tipo strano che fa esplorazioni di luoghi abbandonati». Era un candelabro di ottone alto all’incirca trenta centimetri, i cinque bracci senza candele e il corpo principale erano decorati con riccioli, volute e incisioni che rappresentavano foglie rampicanti. La doratura dell’ottone era appena intuibile sotto lo strato nero che lo ricopriva. «Come mai non l’ha esposto in negozio?» chiese Edith cercando di non lasciar trasparire quanto le piacesse il candelabro, per poter trattare il prezzo. Arthur Barrie incrociò le braccia al petto con malcelato disappunto, «Ecco, vede… ho provato a togliere il nero dal metallo, ma non si è mosso di un millimetro. Credo sia bruciato in un incendio. Pensavo di fare un secondo tentativo, ma poi me ne sono scordato ed è finito sepolto nel ripostiglio».
«Capisco» disse Edith sfiorando la bruciatura che anneriva l’ottone, «a quanto me lo metterebbe? Considerando che è bruciato».
«Settanta sterline, è comunque un candelabro d’epoca»
«Trentacinque, è comunque bruciato ed era sepolto dimenticato in uno stanzino» rilanciò Edith sorridendo cordialmente. Arthur Barrie rise.
Edith rincasò verso le diciassette, con il candelabro nascosto in una grossa busta di tela, lo aveva pagato quarantanove sterline più un centrino ricamato e cinque candele in omaggio. Lasciò tutto nel salotto e andò a farsi un tè. Il gatto che viveva con loro, chiamato Poirot per via delle due macchie nere sul muso a forma di baffi a manubrio, le diede il benvenuto e la seguì in cucina, miagolando affamato. Tornando in salotto con la tazza fumante sentì il cellulare vibrare da dentro la borsa, lasciata su una delle due poltrone, le bastò buttare un’occhiata all’interno per trovarlo subito nel caos di oggetti che si portava dietro di solito. Grace le aveva impostato l’accensione del flash insieme alla vibrazione apposta, visto che Edith non voleva mettere una suoneria perché le dava ansia. Era proprio Grace che la stava chiamando.
«Hey tesoro, sei uscita dall’ufficio?»
«Hey, sì, proprio adesso. Senti, ti va se mi fermo in quella bakery nuova vicino da Tesco e prendo un dolce per sta sera? La volevamo provare».
«Ti ho sposata esattamente per queste tue idee geniali».
Sentì Grace ridere dall’altro capo del telefono.
«Ok, in venti minuti dovrei stare lì, per fortuna è sotto casa, se è buona sarà la nostra rovina».
«Senza dubbio, chiamami quando sei lì così scegliamo insieme».
«Sarà fatto!»
Si salutarono e Edith mise il telefono nella tasca dei pantaloni. Mentre aspettava che il tè raffreddasse, tirò fuori dalla busta il bottino conquistato. Posizionò il centrino sul tavolinetto basso che stava tra le poltrone e il divano, e sopra ci mise il candelabro. Infilò le candele nei bracci e prese l’accendino dalla mensola del camino, dietro le poltrone. Quando accese la prima candela, Edith sentì un flebile suono come di un sospiro, invece del consueto sfrigolio di uno stoppino che prende fuoco. La fiammella tremò in direzione delle altre candele e quattro fiamme si accesero nello stesso momento. «Ok, questo è strano» disse Edith guardando confusa il candelabro, poi la stanza, in cui l’unico altro spettatore del fenomeno era stato Poirot, intento a lavarsi il muso sulla poltrona. Cercò di spiegarsi la cosa dando la colpa a una corrente d’aria, magari non aveva chiuso bene la finestra. Si alzò e andò a controllare. Chiusa. Ma in una casa vecchia gli spifferi potevano arrivare da qualsiasi parte, magari dal camino. Cercò di non pensarci e spense la luce del lampadario per visualizzare l’effetto che il candelabro avrebbe avuto il giorno della festa.
La stanza silenziosa era in penombra, Edith si rese conto di aver bisogno di altre candele più modeste da sparpagliare in giro. Poi servivano zucche, ragnatele finte e altra roba che avrebbe trovato al 99cent. Nel complesso però prevedeva già un buon risultato.
Tutta la sua attenzione era rivolta all’ambiente intorno a lei. Fu proprio per questo che lo notò subito, quando l’oscurità nella stanza si mosse.
Era durato un attimo, se avesse battuto le ciglia lo avrebbe perso. Tutte le ombre nella stanza avevano sussultato. Edith pensò che un altro spiffero dal camino avesse disturbato le fiammelle, si avvicinò al candelabro per spostarlo e in quel momento il gatto cominciò a soffiare proprio verso l’oggetto. Poirot era sempre molto tranquillo, quindi le sembrò strano quando corse via dalla stanza mugugnando ostile e con il pelo dritto. Edith andò verso l’interruttore per riaccendere la luce e vederci chiaro in quella faccenda, ma ciò che vide invece le bloccò il braccio a mezz’aria. La sua ombra, proiettata sul muro, mostrava una silhouette che non rispecchiava gli abiti semplici indossati da Edith, bensì l’ampiezza di un abito visibilmente d’epoca. Disorientata si toccò la camicetta e i pantaloni, la sua ombra seguiva i suoi gesti ripetendoli sull’ampia gonna e sulle maniche corte a palloncino. Anche i capelli erano raccolti in un’acconciatura, quando i suoi invece erano lasciati sciolti sulle spalle. Edith si mosse d’istinto, premette l’interruttore e l’ombra sparì, cancellata dalla luce elettrica.
Un leggero odore di fumo si disperse nell’aria. Le candele si erano spente. Tutto era tornato ordinario.
A quel punto la cosa migliore sarebbe stata aspettare Grace, per avere una seconda opinione spiegandole l’accaduto. Una persona superstiziosa magari avrebbe messo il candelabro fuori dalla porta di casa, per riportarlo al negozio il giorno seguente. Se non direttamente nel cassonetto. Tutte queste opzioni vennero in mente a Edith solo diverse ore dopo, perché non era ancora svanito del tutto il fumo nell’aria che lei si ritrovò con l’accendino in mano guidata esclusivamente dalla curiosità morbosa di capire. Di provare ancora il brivido di un vero mistero.
Questa volta tutte e cinque le candele si accesero all’unisono, di nuovo con quel suono che ricordava un sospiro. Le fiamme non si erano ancora assestate che già Edith stava marciando verso l’interruttore. Spense la luce e attese davanti alla parete spoglia fissando l’ombra che al momento ricalcava la sua vera figura. Pochi secondi dopo le ombre sussultarono.
Al rilassarsi di quella contrazione, la silhouette dell’abito iniziò a formarsi, allargandosi sul muro come una goccia di inchiostro su un foglio bagnato. Edith osservava con un’affascinata confusione l’impossibile realtà di quel fenomeno. Fece una giravolta, come una bambina mascherata da principessa, e l’abito seguì il suo volteggiare con la stessa naturalezza che avrebbe avuto se fosse stato concreto. Non vedeva l’ora che Grace rientrasse e assistesse a quella magia, che avesse anche lei il suo abito d’ombra.
Facendo un secondo giro su sé stessa, si rese conto di non essere più l’unica a muoversi in quella stanza e un grido le si strozzò in gola. Separandosi dall’oscurità nel salotto, altre silhouette dalle sembianze umane avanzarono sulla parete, come se questa si fosse trasformata nel telo retroilluminato di un enorme teatrino delle ombre.  Edith osservava paralizzata dallo sconcerto quelle figure di uomini e donne, abbigliati come in un film in costume, che divisi in coppie presero a danzane girando lungo tutto il perimetro delle mura del suo salotto, in una sorta di carosello da lunapark.
L’ombra di un uomo in frac si avvicinò a quella di Edith, che fece per ritrarsi, ma lui le si inchinò e le offrì la mano, in un chiaro invito a unirsi alle danze. Di nuovo Edith seguì la sua curiosità più della paura per lo straordinario. Allungò il braccio guardando la propria ombra, per far sì che la proiezione della sua mano finisse in quella di lui. Quando si toccarono, un altro livello di assurdo si aggiunse a quella faccenda, nella mente di Edith si propagò una musica, un valzer, lo sentiva chiaro come quando una canzone rimane intrusiva nei pensieri dopo averla ascoltata. In sottofondo al valzer si distingueva il brusio ovattato di molte voci diverse, tra cui delle risate. Anche gli odori ora le sembravano sconosciuti, profumi intensi e floreali uniti al puzzo di un luogo affollato da molti respiri e corpi in movimento.
L’uomo in frac la prese tra le braccia e la guidò nei primi passi, e il corpo di Edith seguì da solo le movenze fatte dalla propria ombra, come se lui fosse fisicamente lì a sospingerla. Seguendo il valzer, Edith si ritrovò a volteggiare da sola in quella stanza affollata di ombre. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare solo dalle sensazioni che la stavano avvolgendo, con la mente svuotata dalle preoccupazioni della ragione. Danzò con le ombre finché non le venne il respiro corto. Qualcosa però la riportò gradualmente alla realtà, un ticchettio fastidioso e sempre più intenso. Lo sentiva presente intorno a lei e non tra i suoi pensieri come il valzer. Riaprì gli occhi e guardò in direzione del rumore. Proveniva dal candelabro, lo vide tremare sul posto da solo e improvvisamente le cinque fiamme avvamparono alte e incontrollate. Dalla base del candelabro scaturì una luce intensa che si diramò con la forma circolare di un sole dalle tonalità del giallo, dell’arancio e del rosso vivo.
 I raggi frastagliati guizzavano strisciando sulla superfice del tavolinetto, scendendo poi giù e continuando ad allargarsi a terra. Edith sentì una scintilla di paura accendersi in lei, quello era fuoco, la stanza stava venendo via via ricoperta dalla proiezione di un incendio. Una zaffata di fumo si insinuò anche tra gli altri odori fantasma che Edith percepiva.
Quando anche le ombre si accorsero del fuoco illusorio, si diffuse il panico, la musica cessò e venne sostituita da urla e confusione. Le figure nere correvano lungo le pareti cercando di sfuggire all’incendio che le aveva circondate, alcune si contorcevano con gli abiti già in fiamme. Edith si chiese cosa le sarebbe successo se anche la sua ombra fosse stata bruciata. L’uomo in frac cercava di trascinarla con sé lontano dalle fiamme, ma Edith capì subito che l’unico modo era risolvere il problema alla radice: doveva spegnere il candelabro. Spinse via l’uomo, lasciandolo correre lontano da solo, cessando quel contatto smise anche di percepire suoni e odori provenienti dalle ombre. Fece un primo passo sulla proiezione delle fiamme e così anche la sua ombra si avvicinò a esse, sentì un calore intenso irradiarsi nel suo corpo, ma era sopportabile. Corse a inginocchiarsi davanti al candelabro che continuava a essere scosso da un inspiegabile tremore violento, rischiando di ribaltarsi e cadere sul tappeto sottostante. Edith provò ad afferrarlo, ma ritrasse subito le mani scottata, la struttura del candelabro era rovente e stava iniziando a bruciare anche il centrino. Provò a soffiare sulle candele più forte che poté, ma le fiamme non si mossero neppure. Allora prese la tazza dimenticata lì e lanciò il liquido verso il fuoco, ma il tè evaporò appena vi entrò in contatto. Il panico iniziava a impossessarsi di lei, si guardava intorno cercando soluzioni, anche solo per impedire che il candelabro cadesse e appiccasse un vero incendio. Pensò di afferrarlo usando i cuscini del divano, ma rischiava di perdere la presa e fare un disastro. L’occhio allora le cadde vicino al camino e le venne un’idea, si sporse in avanti e prese le pinze lunghe in ferro, con le quali inforcò il candelabro, riuscendo a stabilizzarlo. L’incendio era scongiurato ma lei non poteva muoversi da lì e il calore che l’aveva avvolta iniziava a essere soffocante, facendola sudare copiosamente e rendendo scivolosa la presa sulle pinze.
In quel momento di stallo, il cellulare nella tasca dei suoi pantaloni prese a vibrare. Grace la stava richiamando e lei poteva dirle di correre a casa ad aiutarla. Edith, a fatica, mantenne con una sola mano la presa sulle pinze massicce e vibranti a causa del tremore del candelabro, mentre con l’altra mano sfilava il cellulare dalla tasca e lo portava davanti a sé per rispondere. Quando il flash automatico impostato da Grace venne puntato sulle cinque fiamme, quelle persero immediatamente potenza e il tremore del candelabro divenne più leggero. Mentre guardava incredula quella reazione, Edith realizzò che non era stato uno spiffero a spegnere la prima volta il candelabro, era stata la luce elettrica che aveva acceso. Non ne aveva la certezza, ma l’intuito le diceva che era la cosa giusta da fare. Con estrema attenzione, e sempre puntando il flash della chiamata verso il candelabro, posò a terra le pinze e si alzò, iniziando a camminare a ritroso verso l’interruttore. Ma allontanandosi il flash faceva sempre meno effetto e le fiamme e il tremore si stavano gradualmente intensificando. Arrivata a pochi passi dal muro, il cellulare smise di vibrare e il flash si spense. Quell’interruzione improvvisa causò come un contraccolpo nel candelabro, le fiamme esplosero più alte e potenti e la struttura ebbe un vero e proprio scossone, sbilanciandosi verso destra. Nel momento in cui il candelabro in fiamme precipitò dal tavolinetto, Edith si voltò e fece uno scatto per coprire gli ultimi passi verso l’interruttore. Quando il candelabro atterrò sul tappeto la luce del lampadario si accese, e tutto ciò che rimase di quell’evento straordinario fu un intenso odore di fumo nell’aria del salotto illuminato.
«Edith? Sono tornata!›› Quando Grace si chiuse la porta di casa alle spalle era preoccupata per la mancata risposta alla telefonata. Percorse lo stretto corridoio d’ingresso e lasciò in cucina la busta con dentro i cinnamon rolls che aveva preso di sua iniziativa, poi si diresse in salotto, dove vedeva la luce accesa. Trovò sua moglie seduta a terra di fianco alla porta, stava fissando un candelabro ribaltato sul tappeto.
«Edie, tesoro, ti senti bene?» le chiese accovacciandosi vicino a lei. Edith si voltò a guardarla, con gli occhi spalancati e il labbro inferiore che le tremava. Grace si allarmò perché pensò stesse per piangere, invece la moglie esplose in una risata fragorosa e le afferrò entrambe le mani con le sue, che erano calde e sudate. «Oh Gray, devo farti vedere una cosa! Ci servono solo dei guantoni da forno e un estintore per sicurezza! Io resterò qui vicino all’interruttore, vedrai sarà fantastico!» Grace era sempre più confusa dall’entusiasmo della moglie, ma vederla così felice fece ridere anche lei, «Posso sapere almeno cosa sarà fantastico, amore?» Edith, che stava andando verso il candelabro a terra, si voltò con un sorriso smagliante.
«Ma il nostro party di Halloween naturalmente, sarà fantastico!»
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