“Il canto del Profeta” di Paul Lynch (66thand2nd)

Il profeta, lacero e con le vesti in fiamme, canta la rovina di un popolo e non di un altro, e quella che per una parte del mondo è una tragedia per un’altra è soltanto una notizia al telegiornale.

Cosa fare quando le certezze del tuo mondo sicuro implodono e ti si sgretolano addosso? È quello che succede in questo libro, inquietante, la cui portata drammatica è in linea con i tempi che viviamo, i nostri respiri fortunati, fino a quando qualcuno ce lo permette. Paul Lynch dipana una storia ambientata in un mondo presente eppure, speriamo, lontano. In Irlanda, all’inizio in maniera impercettibile poi con modalità sempre più marcate, si instaura una dittatura che, con il pretesto di garantire la sicurezza dello Stato, priva i cittadini di ogni diritto. Eilish è una microbiologa, una ricercatrice universitaria affermata, appena rientrata al lavoro dopo il congedo di maternità. La sua vita familiare, con tre figli adolescenti e un bambino neonato, una gravidanza non cercata ma accettata, è piena delle mille piccole incombenze di una lavoratrice madre, con scadenze, difficoltà con le ribellioni dei figli maggiori, preoccupazione per il padre che soffre di una forma di demenza senile e non vuole rinunciare alla sua vita solitaria. Inizia tutto con i divieti di manifestare all’aperto, visite della polizia segreta al marito, Larry, insegnante e dirigente sindacale, che durante uno sciopero viene arrestato e precipita nel buco nero della burocrazia molle e spaventosa tipica di ogni dittatura. Eilish si rifiuta intimamente di credere alla fine delle libertà costituzionali, e decide di cercare il marito e, contemporaneamente, di vivere in attesa del suo rilascio, lasciando immutata la vita familiare, fatta di scuola, impegni sportivi per i ragazzi, e moduli da compilare. Quando una serie di persone, compresa la sorella che vive in Canada, cerca di convincerla a lasciare il Paese, Eilish rifiuta più volte, quasi che la fuga rappresenti un tradimento verso il marito che crede di dover aspettare. Quando anche il figlio maggiore, Mark riceve una lettera di arruolamento nell’esercito regolare prima ancora di finire la scuola, capisce che deve proteggerlo e nasconderlo. Mark scappa dal rifugio sicuro e si unisce ai ribelli, e la famiglia di Eilish viene definitivamente bollata come sovversiva. Non ci sono più tribunali imparziali, le comunicazioni internazionali vengono interrotte, i posti di comando riempiti da simpatizzanti del regime. Eilish perde il lavoro mentre l’inflazione fa salire i prezzi dei generi alimentari e i negozi espongono le poche merci non più fresche come denti mancanti sugli scaffali. La lotta per non cedere alla disperazione è ardua, e presto Eilish, insieme a tutta la popolazione irlandese che non simpatizza con il regime, si trova a vivere nel mezzo di restrizioni, coprifuoco, arresti immotivati, file per procurarsi il cibo, energia elettrica razionata.

I nostri diritti, reclamati a gran voce, rivendicati, diventano concessioni e relegati al ruolo di possibilità. Il profeta, lacero e con le vesti in fiamme, canta la rovina di un popolo e non di un altro, e quella che per una parte del mondo è una tragedia per un’altra è un’informazione distratta, una notizia al telegiornale che solca la fronte con una ruga di preoccupazione e poi basta.

Quello che siamo abituati a considerare sicurezza e garanzia va in pezzi come i vetri tenuti insieme da maldestri pezzi di nastro adesivo durante un’incursione aerea. Il mondo che conosciamo può sparire e farci precipitare in un incubo reale, dove la lotta per la sopravvivenza è senza fine. Gli esseri umani rivelano se stessi durante le catastrofi, e i burocrati pallidi e dalle labbra serrate, come gli approfittatori, i militari disponibili alla corruzione, sono sempre pronti ad autoassolversi con il pretesto della mancanza di scelta.

Perché Eilish, e come lei tante persone, non scappa, pur avendone avuto la possibilità? Per lo stesso motivo per cui non lo fanno e non lo hanno fatto quelli che sono rimasti impigliati negli assedi e nelle guerre civili. Perché non riescono a credere che in tempi moderni la tragedia di una perdita incomprensibile, incontrollabile possa capitare a loro. La vita che avevano è il legame con gli affetti e le cose costruite e il richiamo di un futuro, uguale al passato, sembra ancora possibile, fino a che non lo diventa più e ogni giorno di sopravvivenza diventa un regalo.

 

“Dimmi una cosa, tu ci credi nella realtà?

Se si riesce a cambiare la proprietà delle istituzioni, allora si riesce a cambiare anche la proprietà dei fatti, si può alterare la struttura dell’opinione, di quello che si stabilisce di credere tutti, ed è esattamente quello che stanno facendo, Eilish, in realtà è abbastanza semplice, il Nap sta cercando di cambiare quello che noi chiamiamo realtà, la vogliono intorbidire come l’acqua, se dici che una cosa è un’altra cosa e lo ripeti abbastanza spesso, allora dev’essere così, e se continui a ripeterlo tante volte, la gente crederà che sia vero – naturalmente è un’idea molto vecchia, niente di nuovo, in verità, solo che ora la vedi in azione nella tua quotidianità, non in un libro”.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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