Mi hanno detto che ho gli occhi tristi. Ho cercato dentro una coppa vuota. Non è un capriccio. Ci ho messo altri gusti. Era morbida, era crema, era tutto, era zucchero. La crema più bella che sia mai esistita. Ma il tempo corre. Io invecchio. Sono solo mentre scrivo e la gelateria è vuota. La cerco. Ma non lo do a vedere, sembrerei debole. Metto il dito nella coppa, vuota. Ho dimenticato fosse vuota. Nessuno lo sa, solo io so come è fatta, anche se ora non c’è. Nessuno lo deve sapere. Non lo posso dimenticare come è fatta. Il sapore di zucchero e crema sulle labbra. L’assenza è una ferita gelida inferta a lei, nemica fino a scioglierla. Sembra che io giochi, ma era la più bella. La perfezione, la crema tutta, la crema nulla. Mi chiedo se è ancora nella coppa, nascosta. Ci infilo ancora il dito, non c’è. Eppure non ci credo fino in fondo e non posso farne a meno. Il dito scivola nel vuoto, porta via i colori, è tutti i giorni che la cerco. Nessuno lo sa. Che non si può dimenticare l’anima a metà, che non si scorda la complessità del sapore. Allora la cerco dentro di me, ci trovo la sua ferita, ci trovo la mia metà. Il gusto, il freddo, la consistenza, la totalità. Come è fatta, nessuno lo sa. Solo io lo so.
“Underjungle” di James Sturz – traduzione di Ilaria Oddenino (Blu Atlantide)
Una struggente, lirica meditazione sui confini delle specie viventi, sulla perfezione del contatto tra creature e il dolore devastante di perdere quella felicità perfetta.