Prima di partire per Lisbona ho sbrigato la chiusura del mese di gennaio. Ero seduto alla mia scrivania, la piccionaia che vedete quando leccate i gelati in sala. Osservando la gelateria piena anche d’inverno, mi sono incantato sui clienti. Cane al seguito, sola, cappello colorato, telefono in mano, leccava distratta un gelato. Poi un bambino con mamma e papà correva per tutta la sala, Sanpietrino spiaccicato in faccia, mamma con telefono, papà fisso a guardare il muro, e assaporavo cioccolato e panna. Poi un gruppo di amici, poi una giovane donna alta e scura di carnagione intenta ad assaggiare una Caterinetta.
Continuavo a guardare. I ragazzi dello staff servivano al banco, la luce del giorno iniziava a calare e in gelateria c’era quel misto luminoso tra naturale e artificiale che mi incupisce sempre. Non so perché.
Poi, guardandole dall’alto, le persone hanno iniziato a guardare i gelati che avevano in mano o sui tavoli. Tutti. Uno dopo l’altro. Si guardavano tra loro. Guardavano i banchisti.
Poi, il grido.
Non sa di niente, non c’è sapore, sembra di leccare neve. Prima la donna con il cane, poi la famiglia.
Si ammassavano al bancone come zombie, poi alla cassa, rivolevano i soldi. Un paio di ragazzi, li ho visti con i miei occhi, hanno tirato fuori delle caramelle e le hanno ingoiate. Niente. Hanno gridato. Non sapevano di niente.
La giovane donna, quella alta slanciata che mangiava la Caterinetta, ha preso in mano un pezzo del dolce e se lo è strofinato in faccia. Aveva gli occhi spalancati.
Anche una coppietta in disparte ha provato a baciarsi fondendo il cioccolato di uno dentro la lingua al limone dell’altra.
Tutti facevano segno di no, anche loro due. Niente.
Mi sono chiesto se fosse un’allucinazione collettiva, così sono sceso di corsa saltando i gradini delle scale dell’ufficio a due a due.
Qualcuno addirittura strillava, alcuni sono usciti in strada a leccare il marciapiede. Giuro di aver visto l’uomo, il padre di famiglia che poco prima era in piedi a mangiare un Sanpietrino, leccare una poltiglia da terra fuori dalla gelateria.
Ho deciso in quel momento di gridare. Di smetterla. Di concentrarsi. Gli ho detto, con un cucchiaino in mano mentre mi ficcavo in bocca un cucchiaino di crema romana, vedete, io li sento i sapori. E li sentivo davvero. Pinoli, uovo, dolce, tuorlo, panna, latte. Tutto. Ricotta.
Mi guardavano senza parlare. Forse avevo capito.
Molti avevano lanciato i gelati a terra. Altri li avevano buttati.
Avevo capito. Mi veniva da piangere. Così gridavo ancora di smetterla. Di guardarmi. Mi scendeva una lacrima e ho pensato di metterla in un bicchiere. Poi ho preso del latte, un po’ di panna e lo zucchero.
Mi sono grattato via un pezzo di pelle e una goccia di sangue l’ho lasciata scivolare e ci ho messo pure un capello. Mi guardavano tutti. Ho aggiunto latte, panna e zucchero. Avevano, sui visi scavati, espressioni schifate e stupite.
Ma avevo capito. Dovevo andare avanti.
Vedete. Voi mangiate così tanto, così tante cose, così per abitudine, così per godimento, così per noia, così per moda. Mangiate con tale empietà che niente ha più sapore.
Ma c’è un ma. Se fate capolino, tutto il mondo qua fuori sta come voi. Guardate dillà, quel ristorante cinese, quei ragazzi cinesi che si guardano stupiti. È uguale per tutti.
Il ma è che qui c’è una possibilità. Mescolo la mistura, che ha assunto un colore rosso chiaro per via del sangue. Ci immergo anche le labbra.
Aspettatemi qui. Aspettatemi.
Entro in laboratorio, manteco il composto, esce fuori questo gelato spumoso, bianco, striato di rosso, puntellato di pelle.
Venite, dico. Venite. Assaggiate.
Stavano tutti lì con questo cucchiaino in mano. Uno al solo pensiero ha avuto un conato.
Nessuno muoveva una palpebra, poi uno ha iniziato. Ha avvicinato alla bocca il cucchiaio e appresso tutti gli altri.
Dopo l’assaggio, schiudevano tutti la bocca in un sorriso. Si sente, si sente. Che strano, si sente di nuovo.
Vedete, dicevo io, dovete mangiare e ricordare ogni volta che il gusto è un’espressione dell’amore tra chi crea e chi mangia, se mangiate senza questa consapevolezza non sentirete mai più niente.