– Ciao, sono il destro.
– Lo so. E io il sinistro.
– Sogno o son destro?
– Sei un coglione.
– Anche tu, però.
– Eh, sai che novità.
– No dai, a parte gli scherzi, se c’è un coglione vero è lui.
– Lui chi?
– Lui, lui… il titolare.
– Dici?
– Ma sì. Ma sì, non ci considera.
– Hai ragione. Siamo solo un impiccio.
– Doloroso, a volte.
– Vero. Ti ricordi di quella volta che quella pallonata ti ha preso in pieno?
– Come no, ho ancora il livido.
– Ma dove?
– Qui, qui… guarda.
– Ma non hai niente!
– Scherzetto!
– Ma sei un coglione!
– Sì, ma anche tu
– Hihihi.
– Ahahah.
– E poi scusa…
Fece il sinistro, facendosi serio.
– Ogni volta che gli tocca fare qualcosa che non gli va, che dice?
– Che palle!
– Appunto. Come se noi fossimo un impiccio.
– Un ostacolo.
– Un impedimento.
– Un intralcio.
– Quello, il titolare, pensa solo al birillo qui sopra. Lo usasse, almeno.
– Macché. Dorme, quello.
– Quasi sempre.
– Mezzo morto.
– Moscio.
– Inutile.
– Sempre.
– Solo quando fa da solo ogni tanto gli funziona.
– Esatto. E neanche tanto.
– Tiè, guarda come sono gonfio.
– Dillo a me.
– Non è che possiamo andare avanti all’infinito.
– Ma infatti.
– Che poi.
– Se non ci fossimo noi.
– Sarebbe solo una testa di…
– Non dirlo, non dirlo.
– Ah ah ah… Che palla moscia che sei!
– Ah io, eh?
– E ci sottovaluta anche quando prova a fare l’amore.
– Solo quando gli capita.
– Ihihih.
– Ahahah.
– E ti credo. Con quel carattere.
– E con quel coso inutile.
– Non se ne tiene una, di ragazza.
– Lo lasciano subito.
– E lui le implora.
– Beh, ma se il coso non gli funziona.
– E lui poi piange.
– Piange perché lo lasciano?
– Macché. Perché è vizzo.
– Molle.
– Inutile.
– Ma non fa niente per…
– È troppo stupido.
– No, è troppo moscio.
– E a noi ci ignora.
– Come se fossimo senza sensibilità.
– E invece.
– E invece.
– Ti ricordi Giulia come ci toccava?
– Leggera leggera.
– E lui?
– Lui niente. Moscio. E lei, invece…
– Con quelle unghie rosse, lunghe…
– Leggera.
– Non me lo ricordare, avevo tutta la pelle d’oca.
– Una pelle di pollo.
– Una palla di pelle di pollo.
– Fatta da Apelle?
– Figlio di Apollo.
– Hihihi.
– Ahahah.
Fecero silenzio per qualche secondo.
– E Chiara?
– Chiara, chi?
– Chiara, Chiara, quella di cui era tanto innamorato.
– Ah, Chiara!
– Tanto carina.
– Tanto sexy.
– Tanta roba.
– Sì, era tanta roba Chiara.
– Io ero pronto.
– Ah, pure io.
– Eppure…
– Eppure lui niente. Uno straccio bagnato.
– Una pelle di gatto.
– Una pezza di daino.
– Dice che era l’emozione.
– Ma vaaaa.
– Ahahah.
– Ihihih.
Riprese il sinistro, pensieroso.
– Che poi stavamo così bene, lassù, prima di diventare adolescenti.
– Te lo ricordi?
– Eh, certo.
– Che c’ha fatto scendere a fare.
– Natura, dice.
– Si stava così bene dentro al corpo. Al calduccio…
– Pure troppo.
– E poi siamo scesi.
– Non me lo ricordare.
– E continuiamo a scendere.
– Ci faranno cadere, prima o poi.
– Lui lo dice sempre.
– Cosa?
– Mi fate cadere le palle!
– Idiota.
– Un cretino.
– Hihihi.
– Ahahah.
Fu ancora il destro a riprendere.
– E quando aveva deciso di depilarci?
– Zitto va’, che avevo una paura che mi tagliasse con le forbicine.
– Ma poi perché?
– Già, perché?
– Con questi quattro peli che abbiamo, poi.
– Glielo chiese quella con il labbrone, te la ricordi?
– Hai voglia. E chi se la scorda!
– Come si chiamava?
– Gabriella?
– Sì, mi pare.
– Però neanche con lei.
– Niente. C’ha una salma tra le gambe.
– Gli piacessero gli uomini?
– Va’ a sapere.
– Basta che ci avverta prima.
– Davvero.
– Mica voglio trovarmi nei casini.
– Tipo?
– Tipo di incontrare da vicino due come noi.
– Infatti.
– Comunque.
– Basta che ci fa lavorare.
– ‘Sto scemo.
– Hihihi.
– Ahahah.
Si bloccarono tutti e due sentendo del rumore.
– Eccolo, mi sa che è lui.
– Nelle mutande?
– Mi sa.
– Sì, sento la mano.
– Chissà.
– Che fa, ci riprova?
– Tanto è tutto inutile.
– Oh, beh, speriamo.
– Non ti illudere.
– No?
– È un cretino, te lo dico io.
– Giusto.
– Un debole.
– Vero.
– Un senza palle.
– Beh, quello no.
E tutti e due risero.