“Pizza Girl” di Jean Kyoung Frazier (Blackie Edizioni)

Per tutti la protagonista di questo romanzo è solo la ragazza che consegna le pizze, la depositaria di cartoni di cibo ordinato, destinata a scomparire nella cornice di una porta chiusa.

Il nome della protagonista del romanzo verrà svelato al lettore solo alla fine e, in un certo senso, è come se lo apprendesse anche lei. I nomi strutturano una parte della nostra identità, insieme al nostro corpo. Eppure, nel mondo iperveloce e malinconico di una Los Angeles periferica, lontana dal centro, l’aspirazione della giovane protagonista è già una sconfitta. Ha 18 anni, è incinta, vive con il suo ragazzo e la madre, e si accontenta di fare la rider in una pizzeria. Tutto quello che c’è nel mondo sembra le sia capitato, lei non ha mai scelto nulla. È per metà americana (da parte di padre) e per metà coreana e il suo essere scissa tra due mondi diversi l’ha portata a isolarsi. Il rapporto con il padre, alcolista in maniera grave, affettuoso e violento insieme, nel modo tipico di chi abusa di alcool, è ambivalente: da un lato lo disprezza per la sua debolezza, dall’altro vorrebbe essere sempre la bambina amata che forse è stata e di cui non ha memoria. A un gruppo di elaborazione del lutto, che frequenta dopo la morte del padre, incontra Billy, e dopo essere rimasta, imprudentemente, incinta, a entrambi sembra una buona soluzione vivere insieme e aspettare gli eventi.

La sua vita si ribalta quando riceve una telefonata da una nuova cliente, Jenny Hauser, che chiede cetriolini sulla pizza, e una consegna speciale il mercoledì. Pizza Girl si innamora di lei in modo assoluto, travasando verso una madre, vicina ai quaranta e con un figlio problematico di 8 anni, tutte le sue speranze. Sulla sua bisessualità non ha dubbi e nemmeno conflitti, l’accetta e si accetta, quando invece non riesce ad accettare la duplicità delle sue origini, il senso di sconfitta che la porta all’inazione, alla ripetizione ossessiva di gesti che la condannano a una vita priva di luce, soffocante e asfittica come la carta da parati della pizzeria.

Nell’ossessione amorosa che contraddistingue il tempo narrato, Pizza Girl ci presenta una serie di persone alle quali consegna la pizza, e per pochi minuti sfiora le loro vite, i loro corpi desiderosi di cibo, ma spesso anche le coppie che sembrano più affiatate nascondono segreti. Per tutti lei è solo la ragazza che consegna le pizze, la depositaria di cartoni di cibo ordinato, destinata a scomparire nella cornice di una porta chiusa. Chi lei sia davvero non sembra importare a nessuno, neanche a lei stessa, visto che l’identificazione con un impiego di poco valore le sembra sufficiente a definirla, senza scosse, senza ansie, perché non c’è nulla di realmente difficile che le sia richiesto, niente che richieda sforzi. Le nostre gabbie diventano una casa, o forse una comoda cuccia, perché anche stare male è un modo di esistere, più facile di quanto sia trovare un poco di coraggio e affrontare il mondo.

Jenny, nelle consegne del mercoledì, le racconta cose sulla sua vita e altre gliele nasconde, il suo tempo diviso tra l’attesa del rientro a casa del marito e le ansie per il figlio. Quando si incontrano Jenny è sull’orlo di un collasso nervoso, presa dalla fatica sfinente di essere una moglie paziente e una madre attenta, cercando una qualche forma di condivisione emotiva con la ragazzina, che, sempre più confusa, si inventa un mondo alternativo e un possibile futuro per loro due. C’è un bacio, ci sono menzogne, ci sono silenzi, incomprensioni, tradimenti, c’è la vita che ti rivela la tua stessa fragilità.

C’è il bisogno di essere vista, di essere reale, di avere consistenza, in un mondo che ti cancella se non corrispondi a quello che considera giusto. C’è la sopravvivenza propria di chi, logoro, senza grandi pretese, inizia da un evento a caso e prosegue a fatica.

 

Anche a me non va di rispondere al telefono delle volte. C’era un posto in cui andavo quando mi sentivo sola e piccola. Ma piccola non di età o di statura, piccola come quando sei in uno spazio pieno di gente e nessuno ti guarda per più di un secondo. Non si tratta di invisibilità: è peggio: la gente ti vede ma, in quel secondo lì, decide che non c’è niente in te che valga la pena conoscere.

Mi piaceva sedermi sul cordolo del 7-Eleven. Mi prendevo una granita frizzante e mi sedevo un po’ a sinistra della porta, così riuscivo a vedere tutti quelli che entravano, solo le loro gambe però. Dall’altra parte della strada c’era un negozio che vendeva lampade ed era sempre incredibilmente luminoso.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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