Il suo nome italiano è Paola Grassi ma io la conosco con il nome Prita, che credo abbia a che fare con il suo interesse per le discipline orientali e la cultura non solo dell’Occidente. In effetti so che Paola Prita Grassi è capace di nascondere, dietro un’apparente semplicità e una vera innata cortesia, la capacità di raggiungere con le sue invenzioni letterarie profondità e coraggio. Se ne può trovare una conferma evidente nel suo romanzo La bambina della foto (Bertoni 2023) dove compie un’operazione sorprendente (che qualcuno potrebbe ritenere perfino estrema, iconoclasta): mette a confronto i 12 anni di una bambina rinchiusa in un lager con i propri e con quelli di sua figlia. Disegna così un’opera singolare che alterna i momenti quieti della memoria della vita quotidiana, dove i drammi sono pochi e – quando ci sono – sono quelli di chiunque di noi, e le scene dell’insensata violenza dei nazisti che gestiscono il campo di concentramento. Un memoir di vita vissuta a confronto con una storia verosimile ma immaginata dalla fantasia. Lo fa attraverso una lettera scritta a una figlia dodicenne da una madre che racconta nello stesso tempo la propria infanzia e i dodici anni di una bambina polacca vista per caso in una fotografia, e alla quale dà il nome di Eliza, come se la conoscesse direttamente. Una storia che è anche un modo per raccontare e far convivere la Storia con la S maiuscola e la storia che sembra scorrere sempre simile a sé stessa, generazione dopo generazione. Mi è sembrato il caso di rivolgerle qualche domanda.
Com’è nata l’idea di questo parallelismo tra una bambina in un lager e una donna di oggi?
In realtà l’idea originaria era solo quella della bambina nel lager, l’idea di raccontare una storia doppia è nata nella Full immersion della scuola Genius nell’agosto 2020: mettere a confronto i miei primi 12 anni di vita e quelli di Eliza, la bambina ebrea polacca, il tutto raccontato a mia figlia di 12 anni, quindi la finzione letteraria è stata quella di immaginare di scrivere a lei nel 1991, con la conoscenza degli avvenimenti di quel tempo.
E che ha detto tua figlia quando le hai fatto leggere questa storia?
Sarah (che ora ha 43 anni) ha letto il romanzo appena arrivato. Il suo era il giudizio che più temevo, sapeva che lo avevo scritto ma ne conosceva solo vagamente il tema. In serata è arrivato un suo messaggio molto toccante, ha capito cosa volevo dire e lo ha apprezzato con emozione.
È stato più facile scrivere la parte della bambina o quella dell’infanzia della donna?
Sono due momenti diversi: la storia nel lager l’ho iniziata nel 1998 e finita quasi subito, era una prima stesura che poi, negli anni, ho rielaborato, ma non trovavo il senso di questo scritto. Solo confrontandola coi miei primi 12 anni la metà è diventata una storia compiuta. I due racconti hanno uno stile diverso: scrivere del lager è stato un po’ come ascoltare un’urgenza dentro di me, ho curato le parole, le atmosfere, mi sono immersa in quel mood per mesi e mesi. Scrivere di me, di episodi della mia infanzia, è stato pescare nella memoria, c’è stata meno fatica, più leggerezza.
Le scene ambientate nel lager sono molto forti, come ti sei documentata?
Dagli 11-12 anni ho iniziato a leggere tutto quello che trovavo sull’argomento, per anni è stata la mia lettura preferita. Leggere storie ambientate nei lager era diventata un’ossessione, era incredibile, per me ragazzina, quanta ferocia potesse esserci nell’animo umano. Con tutto questo bagaglio mi è stato facile immaginare una situazione inventata ma verosimile. Le scene forti sono state un crescendo di crudeltà per arrivare alla scelta finale. In questo sono stata incoraggiata proprio da te, Paolo, che ogni volta mi spingevi a osare di più nella scrittura. E io osavo…
Beh, credo che non se ne possa fare a meno se si vuole scrivere una storia come la tua, ma cosa vuol dire scrivere per te? Una fuga dalla realtà quotidiana oppure un modo per conoscerla meglio?
Aver imparato a scrivere e soprattutto a leggere mi ha dato fin dalla scuola elementare un senso di potere, sapevo che con un libro accanto non sarei mai stata sola e in effetti è sempre stato così. Poi mettere per scritto alcune idee originali mi ha sempre divertito, finché Lidia Ravera, nel primo Laboratorio di scrittura creativa a cui ho partecipato nel 1998, mi ha incoraggiato a continuare a farlo e così ho fatto per tutti questi anni, soprattutto scrivendo racconti brevi, spesso divertenti, ironici. Scrivendo metto l’attenzione su particolari della vita degli altri che magari a molti sfuggono, da questi piccoli indizi immagino racconti, poi vado a casa, li scrivo e dopo mi sento bene.
Ci sono degli autori che prediligi tra gli scrittori di narrativa?
A parte Lidia Ravera, che leggevo anche prima di conoscerla, mi piace molto come scrive Niccolò Ammaniti, insolito e unico per certe situazioni, soprattutto nei primi libri pubblicati. Apprezzo Simenon per la psicologia sottile dei suoi personaggi, ma è difficile ricordare tutti gli autori che ho letto e apprezzato, sono tantissimi, anche autori contemporanei, come Andrea Camilleri, Valeria Parrella, Silvia Avallone e Chiara Gamberale, per non parlare dei sudamericani Allende e Marquez, mostri sacri della scrittura.
Nella tua esperienza c’è anche il lavoro compiuto nel carcere di Gorgona con un Laboratorio di scrittura sul rapporto con gli animali, Come è andata?
È stata un’esperienza intensa. Avevo proposto un Laboratorio al carcere di Livorno, ma il Direttore mi ha proposto di farlo in Gorgona. Era il momento giusto, avevano un progetto dell’università Bicocca di Milano per indagare sul rapporto con gli animali dei detenuti, volevano farli parlare di questo, ma sono arrivata io a raccogliere le loro parole scritte anziché solo raccontate. Andavo lì ogni lunedì, mare permettendo, parlavamo, leggevo loro pagine di buoni autori e la volta dopo avevano tutti scritto un racconto sui loro animali lasciati a casa. Io mi sentivo onorata che affidassero a me i loro ricordi, in piena fiducia.
È stato difficile conquistare la fiducia dei ragazzi coinvolti?
No, è stato naturale, non conosco i loro reati, non ero lì per giudicare, per me sono ragazzi venuti nel mio Laboratorio per scrivere insieme. Abbiamo giocato con le parole, ho fatto fare loro acrostici, lipogrammi, hanno ascoltato quello che leggevo, ho ascoltato quello che volevano condividere con tutto il gruppo anche attraverso i loro scritti, si è creata un’atmosfera di vicinanza: loro sono i miei ragazzi, io sono come una zia, una confidente oppure, per i napoletani: dottore’, anche se io precisavo di non esserlo.
L’amicizia con loro è stata talmente importante che l’estate successiva sono tornata in Gorgona, sempre come volontaria, per un altro laboratorio di scrittura; questa volta il tema era il lavoro, in carcere e fuori. Anche da questi racconti è nato un libro (Animali che salvano l’anima. L’esperienza del carcere di Gorgona, Carmignani 2022) che li racchiude e che stiamo portando in giro con tante presentazioni, anche in sedi prestigiose come nella sede della Regione Toscana a Firenze.
Sei un’animalista convinta? Vegana e tutto il resto?
Sono tendenzialmente vegetariana, anche se a volte faccio eccezioni, più per il pesce che per la carne a cui rinuncio volentieri. Stando però a contatto con i detenuti che hanno chiesto la grazia per gli esseri che stanno allevando in Gorgona, mi sono sempre più convinta che possiamo mangiare altro, non creature viventi, animali come noi.
Stai scrivendo qualcosa di nuovo oppure la pubblicazione ti ha stremato?
Tutte le mattine, appena sveglia, mi dedico alla scrittura per 15-20 minuti ma lo considero più un allenamento, niente di valore. Al momento sto trascrivendo interviste che faccio da qualche mese ad alcuni malati di Alzheimer seguiti dall’associazione AIMA locale. Abbiamo un progetto che porterà alla pubblicazione di un libro coi loro ricordi. Poi sono impegnata a far scrivere gli altri coi miei Laboratori di scrittura, al momento ne ho 3 in corso che a breve finiranno per lasciare spazio alla mia nuova occupazione: la nonna! Questo non mi impedirà, però, di seguire il mio romanzo al Salone del libro di Torino, dove a maggio lo porterà il mio editore Bertoni e di frequentare, come ogni agosto, la Full immersion della scuola Genius, ci tengo proprio tanto!