Mare fermo

Vicino alla stazione di Quarto d’Altino il treno si blocca. Il suo grande occhio rosso si chiude.

Ai viaggiatori in attesa del regionale veloce per Venezia, l’alba di oggi, deliziosamente gelida, appare irresistibile.

Per lei indossano guanti e sciarpe, cappelli e scarpe dalle suole spesse, tuttavia c’è anche chi ha timore di incontrarla e se ne sta rintanato nella piccola sala d’aspetto.

Un minuto prima dell’arrivo del treno, tutti si dispongono diligentemente lungo la banchina. Arriva la sposa  vestita di ferro e di vento, che è puntuale e darà a tutti coloro che l’attendono in fila un bacio, mentre frena il suo lungo corpo davanti la stazione.

Dentro di lei, la scelta dei posti a sedere è ampia: giorno festivo, freddo. Pandemico.

Poi la sposa diventa sposo e nel suo vestito di stoffa nera e pesante riparte in silenzio. Scivola con rassegnazione lungo il sentiero obbligato, incurante delle mutevoli vicende umane dei pochi temerari che lo attendono alle fermate; li ingoia senza nemmeno guardarli.

Il sole, indifferente pure lui alle cose del mondo, ma immensamente più potente, se ne esce all’improvviso a illuminare la brina dei campi; i suoi raggi rimbalzano sui vetri delle finestre. Senza averne l’intenzione, fa sentire tutti gli altri esseri piccoli e indifesi, bisognosi e fragili.

Vicino alla stazione di Quarto d’Altino il treno si blocca. Il suo grande occhio rosso si chiude.

Dopo alcuni minuti, gli umani a bordo cominciano ad agitarsi.

L’unico giovane controllore, sommerso dalle richieste di spiegazioni, si allontana in cerca di aiuto e sparisce. I più socievoli tra i viaggiatori cominciano ad accorciare le distanze dai loro simili, cambiano di posto, cercano contatti visivi. Si muovono tradendo il tacito accordo di immobilità e silenzio, vigente all’interno del treno.

Dopo mezz’ora la totalità dei viaggiatori, non più di una trentina, ha lasciato il proprio posto ed è in piedi, in allerta, lungo i corridoi.

La mascherina Ffp2 li fa sembrare uccelli terrestri; si stringono l’uno all’altro. Tra di loro c’è pure Madama Paura, la quale, sbucata da chissà dove, si mimetizza tra i presenti; mai che si perda un avvenimento del genere, la signora.

Dopo quaranta minuti gli uccelli umani si sono riuniti spontaneamente nella prima carrozza.

Un signore con un piumino lungo fino ai piedi, mascherina e cappello neri, parla e tutti lo guardano, fiduciosi. Le porte sono bloccate e c’è chi comincia a protestare ad alta voce, a battere i pugni chiusi contro i finestrini. Il signore con il piumino lungo invita loro alla calma. Una signora con un vistoso giubbotto arancione mette mano al telefono e chiama vari numeri. La linea telefonica è disturbata e cade continuamente, senza che la signora possa terminare la sua richiesta di aiuto.

Impossibile anche inviare messaggi.

È passata un’altra ora. Il signore dal piumino lungo chiede a tutti di ritornare a sedere ai propri posti. Sembra abbia un piano.

Non so come finirà. Probabilmente verranno presto a liberarci. Sì, verranno. Senza alcun dubbio.

Il treno immobile e sigillato è una culla di vetro e ferro, sotto la protezione del dio sole, e intorno la campagna è un mare fermo di terra luccicante.

E io mi domando da un po’ cosa mi ricorda questa situazione. È come se l’avessi già vista, o sognata. Quando il signore dal piumino lungo nero ci invita a sederci e vedo che istintivamente, tutti i viaggiatori hanno scelto i finestrini illuminati dal sole, improvvisamente mi sovviene un’immagine: il quadro della nonna in sala da pranzo! Un dipinto di un pittore locale, suo amico: il treno, i campi gelati illuminati dalla luce dell’alba, le sagome nere dei passeggeri accanto ai finestrini. Da piccola perdevo ore a immaginare la vita di quelle ombre dentro il treno.

Staremo anche noi qui dentro per sempre?

 

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