La svolta

Per comprare il test di gravidanza, Elisa aveva scelto una farmacia lontana sia dal suo ufficio che da casa: si sa mai, si era detta, che ci sia qualcuno che mi conosce.

Elisa guardava quello strumento che la sera prima aveva comprato in farmacia. L’aveva preso più per tranquillizzarsi che per un vero dubbio e si era sentita imbarazzatissima quando aveva chiesto al farmacista il test per la gravidanza.

Aveva scelto una farmacia lontana sia dal suo ufficio che da casa: si sa mai, si era detta, che ci sia qualcuno che mi conosce.

Ma come è possibile che ancora oggi i medici sbaglino così?

Lei dal ginecologo c’era stata due mesi prima per una visita di routine e lui le aveva prescritto tutta una serie di esami. Quando glieli aveva portati, il medico scuotendo la testa e sorridendo quasi a volersi scusare, usando un giro di parole praticamente le aveva detto che le sue ovaie non erano più in grado di funzionare.

E perché lei ora si ritrovava incinta?

L’ultima cosa che voleva.

Non c’era posto per un figlio nella sua vita.

“Calma, calma” si disse “non facciamoci prendere dal panico” mentre sentiva il respiro farsi sempre più corto.

Mimma, la vecchia micia, si strofinò contro le sue gambe. Elisa l’accarezzò distrattamente e versò le crocchette nella ciotola. La gatta mangiava con avidità ma aveva aspettato che la donna fosse disponibile a occuparsi di lei, era una gatta educata. Non miagolava, non faceva dispetti, aveva imparato ad aspettare, ma un figlio? “Un figlio non aspetterebbe i miei comodi”, si ritrovò a pensare.

Guardò l’orologio.

“Cazzo, com’è tardi! Devo finire di vestirmi, la prima riunione è alle nove”.

Le sembrava di avere la nausea. Forse era solo suggestione, quella sera avrebbe comprato un altro test.

Se sbagliano gli esami fatti in un laboratorio, vuoi che non possa sbagliare un arnese del genere? E poi chi l’ha detto che quel colore rosa significa veramente positivo, magari era vecchio, superato e quindi non attendibile.

Si ripeteva tutto questo mentre si guardava allo specchio e controllava che tutto fosse perfettamente in sintonia: trucco leggero ma sufficiente per farla sentire sicura di sé, tailleur blu con camicia bianca di seta, collana di perle e orecchini pendenti con brillantino e perla. Si sorrise e poi, scuotendo i capelli, infilò le scarpe tacco 12, chiedendosi se con la gravidanza le si sarebbero gonfiate le caviglie.

Ultimo sguardo allo specchio: ok ci siamo, macché incinta! Avrei un’altra espressione, pensò, e si disse: adesso concentrati e pensa alla riunione.

Era troppo importante la riunione di quella mattina: doveva ottenere il rinnovo del contratto ai consulenti che lavoravano da più di due anni nel contact center, o per lo meno la Direzione Risorse Umane doveva trovare un escamotage per trattenerli.

Si era ripromessa di ripetere a voce alta il suo intervento mentre guidava, in realtà il suo pensiero era là al test positivo e a cosa avrebbe fatto se fosse stato confermato da un secondo test.

Non avevano mai parlato di un figlio, neppure scherzando nei momenti di intimità. Non ne avevano mai parlato perché Luca i figli li aveva già e anche una moglie. Lui aveva detto chiaramente che non avrebbe mai messo in discussione il suo matrimonio.

Ma ora la situazione è diversa, si disse mentre parcheggiava nel posto riservato.

Questo era uno degli ultimi privilegi che aveva ottenuto: parcheggio riservato, niente più giri a vuoto nelle strade adiacenti e almeno una multa al mese per divieto di sosta evitata.

Quando entrò lo cercò subito, ma era impegnato in una animata discussione con il responsabile dei servizi informativi.

Luca si era seduto dall’altra parte del tavolo, stava indicando con la mano sinistra qualcosa sulla lavagna e la fede all’anulare brillava più del solito alla luce dei faretti. Elisa sospirò. Lui le aveva promesso che si sarebbe seduto di fronte a lei per darle sicurezza mentre proiettava le slide e oggi più che mai avrebbe avuto bisogno del suo sostegno.

Attese che lui si alzasse e venisse verso di lei ma, quando il capo del personale li invitò ad accomodarsi, Luca si sedette vicino al responsabile dei sistemi informativi. Elisa sentì una stretta allo stomaco, aveva la nausea.

Abbassò la testa e contravvenendo a tutte le disposizioni aziendali prese il telefonino e gli scrisse un messaggio: “Ciao ho bisogno di parlarti urgentemente. Sono incinta.”

Anche se nella convocazione il suo doveva essere il secondo intervento, il Presidente diede a lei la parola per prima. Non se lo aspettava, non aveva ancora fatto i collegamenti e controllato l’esatta sequenza delle slide.

Nella sala scese il silenzio, Elisa collegò il tablet all’impianto senza smettere di pensare al messaggio che aveva appena mandato. Quando alzò lo sguardo e il tecnico abbassò le luci, si accorse che le mani stavano tremando, un leggero fremito ma che corrispondeva anche a una voce incerta, anzi roca.

Succedeva così quando era troppo emozionata.

Si sistemò il microfono e iniziò a parlare.

Fu un disastro.

Non riusciva a concentrarsi sulla relazione e leggeva pedissequamente ciò che c’era scritto sulle slide, cosa che neanche da neoassunta aveva mai fatto, e più proiettava dati più si rendeva conto che a nessuno interessava quello che lei stava esponendo.

Si sentiva svuotata.

Raccolse tablet e borsa e uscì dalla sala riunioni senza salutare.

Prima di uscire dalla sala aveva riattivato il telefono.

Luca aveva letto il messaggio, sì, ed erano stati cancellati tre messaggi di risposta.

Entrò nel suo ufficio guardando il display del telefonino che indicava “Luca sta scrivendo”.

Il telefono vibrò, era il suo messaggio di risposta: “??? che cos’è uno scherzo?”

Elisa digitò immediatamente: “No, non è uno scherzo, stronzo è tuo figlio” due secondi dopo aver scritto si pentì, ma per la tensione accumulata aveva bisogno di dirgli quello che pensava di lui da tempo.

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