Mi hanno sempre colpito quelle frasi o quelle citazioni che gli scrittori inseriscono prima di un racconto o di un romanzo. C’è chi le ama e chi le odia. Io, quando non le trovo, ho come la sensazione che manchi qualcosa. Mi sento spaesata.
Tecnicamente si chiamano esergo, dal greco ex «fuori» e ergon ‘opera’. E cioè l’esergo è la parte iniziale di un libro in cui c’è un motto o una citazione.
A che servono quelle frasi? Perché inserirle? Per sembrare più fighi, più colti?
No, perché in quella manciata di frasi c’è tutto il senso del libro. A quelle parole lo scrittore affida il senso della sua storia. Sono sacre, da centellinare con cura, a fior di labbra e sotto le dita, come grani di un rosario
Perché lì c’è il cuore del romanzo.
In quel “paradiso, altissimo e confuso”, un verso di Sandro Penna che la Morante sceglie per L’isola di Arturo, così come “Fuori del limbo non v’è eliso”, c’è tutta la condizione di Arturo, che vive in un luogo quasi senza tempo, isolato proprio come solo Procida e l’infanzia e l’adolescenza possono essere.
Oppure, in quella frase tratta da tratto da La pioggia d’estate, di Marguerite Duras, che apre Dei bambini non si sa niente, di Simona Vinci, e cioè: “Tutte le vite erano uguali, diceva la madre, tranne che per i bambini. Dei bambini, non si sapeva niente. È vero, diceva il padre, dei bambini non si sa niente”, c’è tutto il mistero e lo spaventoso, osceno dell’infanzia. E la sua morte, il suo lento disfarsi nell’adolescenza.
In quelle frasi, in quegli esergo, c’è il senso della storia che si vuole raccontare o che andremo a leggere. Sono un po’ come la prima immagine di un film, che in gergo si chiama ‘fantasma’, in cui c’è il tema stesso del film.
Immaginate se L’Ulisse di Joyce si aprisse con la frase “Quando la nave lascia la scia io ti lascio la firma mia?”.
Sarebbe un disastro.
Se le inseriamo perché suonano bene ci piacciono, perché quell’autore non l’ha sentito nessuno: allora meglio farne a meno, per onestà e decoro. Se invece decidiamo di inserirle, allora dobbiamo sceglierle con cura, quasi fossero le nostre e nostre soltanto. Le uniche e sole che abbiamo e che conosciamo.
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