Punteggiatura e qualche annesso

Oggi parleremo a lungo di punteggiatura. Perché? Perché si, è troppo importante nella scrittura e può fare la differenza a proposito di stile.

Oggi parleremo a lungo di punteggiatura. Perché? Perché sì, perché prima o poi bisognava parlarne! È troppo importante nella scrittura e può fare la differenza a proposito di stile.

Non sottovalutate la punteggiatura, non è un accessorio qualunque. È uno strumento primario, per lo scrittore, che bisogna tenere sempre a disposizione, e funzionante, nella cassetta degli attrezzi: serve a dare ritmo alla pagina, una specie di propulsore primario della scrittura. Se è imperfetto, sbilanciato, sarà zoppicante la nostra scrittura all’orecchio del lettore (immaginando anche una lettura a alta voce).

La virgola segna una breve pausa nella frase. È un separatore, utilizzato per far respirare il lettore e dare ritmo alla frase.

Il punto indica la fine di una frase: una pausa più lunga rispetto alla virgola.

I due punti hanno la funzione di introdurre o annunciare qualcosa: un elenco, un’enumerazione, una citazione, una spiegazione, un chiarimento… “Sai che ti dico: mi hai stancato con tutte le tue cerimonie!”

Evitare di ripetere i due punti nella stessa frase cercando, dove possibile, di sostituirli con un “perché” o “poiché” o, più raro, “giacché”, o riformulando la frase.

Per esempio:

“Francesca non ha molta voglia di ballare: è stata una settimana difficile per lei perché il suo fidanzato ha avuto un incidente con la moto”.

Il punto e virgola viene utilizzato per segnalare una pausa più lunga di una virgola e più breve di un punto. Indica la fine del concetto, ma non la fine dell’idea generale. Viene utilizzato anche alla fine di ogni elemento di una lista.

I punti di sospensione sono sempre e solo tre! Non fate che ne mettete di più, o di meno! Indicano una pausa piuttosto lunga, più di un punto, e, come gli altri segni di punteggiatura, possono avere vari significati. Possono significare un discorso sospeso, o un certo modo di parlare, oppure puoi usarli alla fine di ogni frase, o quasi, come faceva Céline con il suo stile gergale e poetico…

Nel linguaggio letterario moderno si tende ormai a evitare il punto esclamativo, che viene sentito come enfatico e ridondante. È ben tollerato, invece, nella letteratura e nella pubblicistica per ragazzi.

Per le stesse ragioni va limitandosi anche l’uso dei doppi o tripli punti esclamativi, del punto esclamativo unito al punto interrogativo.

In generale evitate la prosa esclamativa, le parole messe tutte maiuscolo, o in neretto o simili! Perché evitarli? Vi dico la mia. Perché a ben vedere non serve, perché è inestetica, inelegante, perché non si usa più – la usavano molto i futuristi; che erano enfatici e fanatici per scelta precisa, per vocazione; si usa nei fumetti; nella letteratura per ragazzi… Però naturalmente ognuno poi si regola come vuole. Dipende molto dal gusto personale, dal proprio stile.

I trattini: si usano invece per aggiungere o mettere in evidenza, in un inciso,  qualche informazione, Es: “quello sfaticato di mia figlia  – nonostante tutto – è riuscita a portare a termine il suo lavoro”; “Io credo – disse il ragazzo con uno sguardo rapito – che tu sia la cosa più bella che mi sia mai capitata!”) oppure se la persona che sta parlando fa una digressione nel suo discorso (“Secondo me dovresti chiederle scusa – ahia!, cazzo! Scusa, questa tazza scotta! – perché sei tu che hai sbagliato!”)

Oggi come esercizio vi propongo una bella nuotata al mare, nelle acque cristalline, se potete, si intende. Poi fate il morto a galla, a largo, e state lì sospesi ad ascoltare il friccico di sottofondo del mare e chiamatelo come volete, cercate di restituire quelle sensazioni lì… quel profumo, quei colori, vedete voi, approfondite, rendete nella pagina, descrivete, arredate, alla prossima. E divertitevi! Non isolatevi! Non mettetevi a leggere l’Ulisse di Joyce sotto l’ombrellone!

Alla prossima!

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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