Lo scrittore è un tipo solitario?

Ci sono scrittori solitari, misantropi, introversi, ma ce ne sono altrettanti di mondani. Ogni scrittore fa storia a sé, io credo.

Oggi, facciamo conto che qualcuno di voi mi chiede: “Ma secondo lei, lo scrittore è un tipo solitario? Lei, per esempio, ha fama di essere uno scrittore misantropo e solitario, e antipatico…

A questo punto io prenderei tempo accendendomi una sigaretta, e dando pensoso le prime boccate… mi bagnerei le labbra, prima di parlare, per guadagnare altro tempo, poi risponderei, osservando la nuvoletta di fumo…

No, non direi che lo scrittore sia un solitario per definizione o per vocazione: e poi lo scrittore tipo non esiste. Ogni scrittore è diverso dall’altro, io credo. Io, per esempio, sono schivo e riservato di carattere, spesso in mezzo alla gente mi trovo a disagio, ma non mi definirei solitario o misantropo, semmai idiosincratico, perché con qualcuno – pochi – sto bene e anche molto bene.

Ci sono scrittori solitari, misantropi, introversi, – come lo schivo, ritiratissimo, Salinger, per dire, che addirittura sparì dalla circolazione, si rese praticamente irreperibile a vita, o Beckett, altro misantropo incallito: «Per intuire quello spirito singolare e isolato che è Beckett, – ha scritto di lui Cioran, altro scrittore di quel tipo, – bisognerebbe insistere sull’espressione “tenersi in disparte” […] Non vive nel tempo ma parallelamente al tempo. […] È uno di quegli esseri che fanno pensare che la storia è una dimensione di cui l’uomo avrebbe potuto fare a meno».

Ma ce ne sono altrettanti di mondani, come Truman Capote, il più mondano di tutti, diresti, principe della mondanità, della vip-society, esibizionista, pettegolo, (geniale) frequentatore di discoteche alla moda, locali gay, salotti, feste e contro-feste alcoliche… Pare che addirittura, simbolicamente, morì spettegolando nel salotto di un’amica californiana dove era andato a rifugiarsi dopo l’ennesimo ricovero per disintossicarsi dall’alcol e dalla droga… Dalla sua amica, una tale che si chiamava Carson, per la cronaca, – leggo da una sua biografia, – il grande scrittore di A sangue freddo si sentì subito male. – ma impedì all’amica e a tutti di chiamare aiuto e continuò a parlare per ore. Quando tacque, fu solo per morire. La Carson, l’amica, restò a guardarlo fino alla fine “per onorare la volontà di Truman”, così disse. Ma anche l’eccentrico e raffinato d’Annunzio lo sappiamo frequentatore accanito e brillante di salotti aristocratici e borghesi e letterari, soprattutto a Roma in gioventù e tanti altri esempi potremmo fare…

Ogni scrittore fa storia a sé, io credo.

Hemingway era notoriamente un uomo mondano, pieno di relazioni, in qualunque luogo si trovasse, gioviale, come documentano anche i suoi libri, – come il bellissimo Festa mobile, che narra del suo periodo parigino – già che ci sto, vi consiglio un libro, lo avete letto? Non lo avete letto perché considerato minore da qualche amico, Malissimo!, per me è uno dei suoi più belli! – ma prima vi volevo raccontare un aneddoto eloquente del suo carattere e divertente: di fronte all’assedio di cronisti e fotoreporter che bivaccavano sotto i larici del suo hotel dolomitico, a Cortina, si trova in appendice al libro Festa Mobile, Hemingway affiggeva alla porta dello chalet il seguente avviso, sentite qua: «Scrivere non è sempre facile né utile specialmente quando ci sono fotografi in giro. L’autore di queste righe, se non viene disturbato, è in grado di guadagnare tremila dollari in una mattinata di lavoro di cui deve versare il 74 per cento all’erario degli Stati Uniti. In compenso se viene disturbato non guadagna nulla… Va da sé che bisogna essere educati e gentili… Ma a volte Mr Papa – si faceva chiamare così, – si rompe i coglioni!»

In realtà Hemingway era anche un depresso cronico – soffriva di crisi maniaco-depressive – e tentò di uccidersi più di una volta nella sua vita, fino a riuscirci il 2 luglio 1961 a sessantadue anni. Fu la moglie Mary a trovarlo. Quella mattina domenicale Mary era stata svegliata da un forte colpo. Il marito si era sparato mettendosi la canna del fucile in bocca.

Alla prossima.

Anzi, l’esercizio, bene, compratevi e leggetevi Festa mobile di Hemingway e poi scrivete un racconto autobiografico su un luogo e un periodo della vostra vita, come fa Hemingway in Festa mobile.

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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