Certe notti ancora gli risuonava nelle orecchie la voce di suo padre che gli diceva che non c’era posto in questo mondo per uno “scrittore poeta”, e lui voleva soltanto scrivere, nient’altro.
Non sapeva che quel posto lo avrebbe trovato in riformatorio e poi in prigione, in mezzo a tutti quelli che erano chiusi lì dentro, e il cuore gli si era stretto nel guardarli perché erano fieri e tristi e belli e perduti.
Aveva solo diciassette anni e come scassinatore non valeva granché quando lo presero per fargli scontare tre anni nella prigione di Clinton ma un vecchio gli passò da leggere I fratelli Karamazov, Les miserables e Il rosso e il nero, e fu una fortuna, quando uscì a vent’anni era colto e innamorato di Chatterton, Marlowe e Shelley.
In un bar del Greenwich Village aveva incontrato Allen Ginsberg, e capì subito che il beat era il viaggio dantesco, il beat era Cristo, il beat era qualunque uomo che rompesse il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato.
Dopo tanto girovagare era arrivato a Roma, città di angeli e spiriti inquieti, passava i suoi giorni e soprattutto le notti tra Campo de’ fiori e Trastevere, il vinaio al Governo Vecchio o il Folkstudio, visto e conosciuto da tutti mentre rideva, parlava, declamava, seduto e poi sdraiato per strada, quando inevitabilmente i suoi compagni ad uno ad uno se ne andavano, lasciandolo solo.
Dove my casa? gridava e piangeva, bussando a tutti i portoni senza trovare mai il suo, straniero arrivato da poco e mai più ripartito. Se solo avesse potuto cantare, come quando Allen Ginsberg lo ascoltava rapito e gli diceva che la sua voce era dolce come quella di Frank Sinatra…
Bibliografia:
Gregory Corso, Hi!, Edizione del Giano
Gregory Corso, Gasoline, Minimum fax.