Sylvia Plath e l’ultima colazione

Sylvia sistemò le fette di pane su un piatto, prese il bricco del latte e il burro e li poggiò sul tavolo, vicino alla sua poesia, scritta su un foglio e lasciata lì.

Dopo aver messo a letto i bambini Sylvia andò in cucina, si sedette per riposare e riordinare le idee, aveva tante cose da fare e non voleva dimenticare nulla.

Doveva preparare la colazione per l’indomani e doveva anche cercare il nastro adesivo, non ricordava se ci fosse in casa. L’ultima poesia, però, l’aveva scritta.

Cominciamo dalla cosa più importante, pensò, alzandosi un po’ a malincuore dalla sedia. Sul lavello le tazze bianche, ben lavate e allineate, rilucevano sotto la luce fredda del neon.

Ted si era trasferito a Londra definitivamente. All’inizio ci andava spesso per partecipare a presentazioni e a reading radiofonici, lasciando Sylvia a vivere un’esistenza da casalinga di campagna che da quando erano arrivati nel Devon le andava sempre più stretta.

Una sera lui non era rientrato, e questa cosa era diventata sempre più frequente. Mentre sistemava sul tavolo le tovagliette fresche di bucato Sylvia ripensò alla ragazza di cui Ted si era invaghito. Si chiamava Assia Wevill ed era colta, giovane e bella. Non erano valsi a nulla i pianti, le suppliche, le scenate di gelosia, neanche la nascita di Nicholas, il loro secondo figlio, aveva potuto rinsaldare il suo legame con Ted, alla fine lei lo aveva cacciato di casa e lui non era più tornato. Dopo qualche tempo, anche Sylvia aveva lasciato il Devon per tornare a Londra, a Primrose Hill: scriveva tanto e cresceva i suoi figli, da sola.

Sylvia sistemò le fette di pane su un piatto, prese il bricco del latte e il burro e li poggiò sul tavolo, vicino alla sua poesia, scritta su un foglio e lasciata lì.

L’aveva intitolata Orlo e la rilesse per l’ultima volta:

La donna è a perfezione.

Il suo morto

Corpo ha il sorriso del compimento,

un’illusione di greca necessità

scorre lungo i drappeggi della sua toga,

i suoi nudi

piedi sembran dire:

abbiamo tanto camminato, è finita.

Si sono rannicchiati i morti infanti ciascuno

come un bianco serpente a una delle due piccole

tazze del latte, ora vuote.

Lei li ha riavvolti

Dentro il suo corpo come petali

di una rosa richiusa quando il giardino

s’intorpidisce e sanguinano odori

dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.

Niente di cui rattristarsi ha la luna

che guarda dal suo cappuccio d’osso.

A certe cose è ormai abituata.

Crepitano, si tendono le sue macchie nere.

Bene, adesso doveva proprio cercare quel nastro adesivo per sigillare tutte le finestre prima di mettere la testa nel forno della sua cucina e aspettare che il gas la portasse finalmente via da lì.

Bibliografia

Sylvia Plath, A letto bambini!, Mondadori

Sylvia Plath, Quanto lontano siamo giunti. Lettere alla madre, Guanda

Condividi su Facebook

Loredana Germani

È tra i fondatori della Scuola di scrittura creativa Genius. Dopo gli studi in Storia e Letteratura italiana, scrive diversi racconti autobiografici e articoli in cui descrive incontri con autori. Ha curato l’antologia di racconti A Roma San Giovanni e tiene la rubrica Vita da scrittore sulla rivista letteraria Dentro la lampada, nella quale narra opere e aneddoti di grandi personaggi letterari.

Tag

Potrebbe piacerti anche...

Apri la chat
Dubbi? Chatta con noi
Ciao! Scrivimi un messaggio per dirmi come posso aiutarti :)