2 febbraio 1950, una mattinata senza vento, fredda come può esserlo a Roma. Massimo Bontempelli è sveglio già da un po’ e ora sta scegliendo con cura l’abbigliamento della giornata: camicia bianca in voile, cravatta grigia con disegni, abito in gessato di lana grigio antracite. Il clima di Roma rende superflue le calze pesanti, meglio quelle in filo di Scozia, dello stesso colore dell’abito. Di mattina le scarpe nere non sono indicate, sceglie quelle in cuoio marrone. Dopo la rasatura indossa i gemelli, le bretelle, l’orologio da polso: ora è pronto per uscire a prendere il primo caffè della giornata.
Viale Liegi gli appare trafficata come sempre: tram, macchine, studenti che vanno a scuola.
Il barista che lo vede tutti giorni lo saluta, e lo chiama senatore. Lui lo ringrazia, ma lo avverte che a fine giornata senatore potrebbe non esserlo più.
Quel pomeriggio, in Senato, discuteranno il suo caso: è lecito che Massimo Bontempelli, curatore nel 1935 di un’antologia scolastica di propaganda fascista, resti sul suo scranno senatoriale? C’è una legge che vieta cariche istituzionali a chi ha svolto incarichi di rilievo in epoca fascista, e qualcuno ha sollevato il problema riguardo a lui.
Non importa che adesso sia un senatore comunista e che in pieno regime si sia allontanato dai suoi ideali giovanili. E sia stato punito dai fascisti per questo.
Prima di andare in Senato per un appuntamento, lo scrittore si avvia a piedi verso il centro, a godersi quel sole tiepido d’inverno. Assorto nei suoi pensieri si accorge di essere arrivato al Pincio, luogo della prima passeggiata con Paola Masino, la donna che ama, che ha trent’anni meno di lui.
Passa davanti all’Hotel de Russie, sede del primo cineclub italiano fondato da poco. Ripensa ad Attilio Momigliano che gli ha dato atto pubblicamente di non aver accettato la sua cattedra universitaria dalla quale era stato cacciato per le leggi razziali del 1938. Anche questo non era stato gradito dal regime. Da via del Babuino decide di passare in via Margutta, per vedere a che punto è il ritratto di Paola che ha commissionato a un pittore, poi prosegue per un atelier dove ritira l’abito bianco e nero ordinato sempre per lei.
La titolare della maison gli consegna il pacco voluminoso ma leggero, lui lo prende felice, già pregustando la gioia di lei per quel dono inaspettato.
Gli torna in mente quando a L’Aquila aveva fatto una commemorazione sul Vate, senza nominare mai il Duce, e anche quella volta il suo atteggiamento era stato considerato irriverente e aveva destato malumori. Davanti al Caffè Aragno, teatro del suo litigio feroce con Ungaretti, ripensa al duello che ne seguì, nel giardino della residenza romana di Pirandello, il padrone di casa in disparte e contrariato, un graffio sul braccio del poeta, poi la stretta di mano e pace fatta.
Gira l’angolo, ed è arrivato in Senato, lascia il pacco nel suo ufficio e si reca alla bouvette, dove ha appuntamento con un collega che gli vuole bene e che cerca di convincerlo a difendersi.
– Massimo, parla oggi in Senato, ti scongiuro!
– Lo deciderò dopo averne parlato con Paola… una partita a biliardo?
Dopo aver battuto regolarmente l’amico si avvia senza fretta verso Piazza Navona, dove aspetta Paola per pranzare con lei, che arriva, giovane e bella, fasciata in un abito rosa sfumato di blu.
Parlano, soprattutto lei, lui ascolta, sorride, guarda la piazza gremita, alla fine le dice che non parlerà e che uscirà dall’aula prima del voto.
Dopo pranzo fanno due passi, si fermano alla Libreria Croce, poi proseguono per Campo de’ fiori, dove stanno smobilitando i banchi del mercato mattutino.
A Largo Argentina, in attesa del taxi che la riporterà a casa, lei, così riservata, inaspettatamente lo bacia. È ora che lui torni in Senato, forse per l’ultima volta.
Bibliografia:
Massimo Bontempelli, La donna dei miei sogni e altre avventure moderne, Mondadori.
Paolo Aquilanti, Il caso Bontempelli. Una storia italiana, Sellerio.