Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.
Puntate precedenti
Capitolo 1 – Panace di Mantegazza
Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana
Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale
Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello
Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio
Capitolo 16 – Rosmarino e basilico
Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico
Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale
Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata
Capitolo 33 – Cassette di pomodoro
Capitolo 34
Totano crudo
L’alba sale dal retro della villetta di Sagripanti. Le porte e le finestre sono sbarrate. Dall’interno un singhiozzare filtra tra le stanze.
– Che poi, ormai, ‘sti Chef li conosco come le mie mutande. Tutti uguali.
Linda slegata è sul letto. Il volto livido gonfia la pelle violacea intorno agli occhi.
Fuori dalla porta finestra della camera la luce del primo sole illumina un lato della stanza. L’odore di varechina si mischia al sudore di Renato che le sta parlando.
– Cioè, tutti impegnati, in tiro, raffinati e poi Renatino deve drizzargli quel microfallo che si ritrovano e fargli dare due botte come si deve sennò non provano un cazzo. Tu che sei rumena mica lo capisci un cazzo di ‘sta gente.
Linda non risponde. Ha segni rossi sul collo, respira piano.
– Renatino aiutami con la stella Michelin, mi fai fare un articolo sull’aglio e olio all’aglio di Nubia? E una comparsata da Antonella Clerici? e Identità golose? Uhh identità golose che vetrina Renato, acchitti qualcosa? Ohi Renato senti, ma per Gambero Rosso Channel un posticino? Anche mezz’oretta la domenica sera. Le foto, gli autografi la televisione. Chi cazzo pensi che ci ficca ovunque questi quattro malati di ego? Che se non facessero i cuochi sarebbero sodomizzati in qualche bugigattolo in Tailandia a scoparsi troie col cazzo. È gente di merda questa. Se ne salva uno ogni dieci. Ma io quell’uno non l’ho mai conosciuto.
Si aggiusta il cavallo dei pantaloni e gratta del catarro dalla gola. Si guarda intorno e poi sputa sul parquet, mischiando poi la poltiglia gialla striata di bianco con il piede, per pulire.
– Linda, o come cazzo ti chiami. Io ti ho portata in Italia anni fa, e ti ho dato un lavoro. Pensi me ne fotta un cazzo di te? Però io ho il cuore grande come il pisello e quindi a te continuo a pensarci. Ti ho dato un lavoro capisci? E devi ancora ripagarmi. E ora pure con tuo figlio mi tocca prendermela.
Linda muove le spalle. Lo scatto che vorrebbe spingerla su Renato si blocca in un dolore lancinante alla schiena per via dei pugni ricevuti da lui durante la notte.
– Dove vai? Che poi te per me vali quanto quello smascellato di Mauro o qualsiasi altro chef. Siete merda. Ma mi fate fare soldi quindi vi tratto con i guanti. Loro più soldi, ma non hanno la tua bella fighetta tra le gambe.
Le si avvicina. L’odore del suo alito arriva forte alle narici di Linda. È un misto tra tabacco e aglio. Pesante, denso, deciso. Linda ritrae il collo d’istinto, provando dolore.
– Questo Papille mi piace. L’amico tuo, senza lingua. Secondo me gliel’hai sciolta tu con la figa. – Ride, – Papille. Che tipo. Che Mauro ha sfregiato perché non regge di essere un mediocre. C’ha ragione quel Papille. Perché i mediocri sono così. Pure se riescono in qualcosa, sentono la puzza di mediocrità ovunque perché ce l’hanno addosso. Capisci? È facile. Sei uno stronzo resti stronzo. Prendi te, rumena, bel culo. Troia sei e troia resti. – Ride ancora di gusto e le sfiora i capelli. Qualche capello resta attaccato alla mano sudata.
Renato si allontana, porta via con sé i sentori di aglio e tabacco.
– Tuo figlio è mio. Io ti campo e io mi prendo quello che mi serve.
Linda abbassa lo sguardo.
– Pensa a Mauro. Che se lo vedi alla presentazione del suo libro, in cucina, su mezzo giornaletto, sembra un adone. Un genio, un illuminato. Perché tuo figlio? Perché Mauro cucina anche se è una mezza sega che si fa spaccare la mandibola da una troia? Perché mi chiede cocaina purissima, investe in pomodori lavorati da negri a dieci euro ogni dodici ore? Perché? Perché mi fate fare soldi e svuotare le palle a comando.
E questo è Renatino. Renatino è l’imprenditore. E tu lo sai. Te lo spiego ogni volta. Perché mi scopi? Perché mio figlio? Perché le botte? Mi hai rotto il cazzo. – Tira su con il naso, emette un gorgoglio. Parlami di quel Papille. Dove lo trovo?
Linda singhiozza.
– Non piangere o ti gonfio di nuovo.
– Io Papille non lo conosco bene. Quando l’ho lasciato era in piazza Centrale a Matera. Ho solo pensato di portarvi le cose che aveva contro Mauro. Il video. Ce l’ha sul telefono, eccolo. Sul tavolo. L’ha registrato. E ora non ha più prove. Ridammi mio figlio ti prego.
– Penso che una altra bottarella ti debbo dare, altro che tuo figlio. Aspetta.
Linda si chiude a riccio spingendo le ginocchia contro il petto.
Renato prende il suo telefono, compone un numero.
Una voce albanese, lontana, risponde al primo squillo.
– Capo.
– Adrian. Quel tale, Papille, quello che mi ha rotto il cazzo e ha fatto un po’ di casino. Sta in zona piazza centrale a Matera. Girate un po’ lì e tenetelo d’occhio. Quando siete tranquilli, prendetelo. Lo portate su al capanno. Trattatelo bene che mi piace.
Attacca il telefono senza attendere risposta. Asciuga il sudore sullo schermo passandolo sulla pancia. E guarda Linda. Poi si tira giù la zip. E la ritira su ridendo. Linda lo guarda terrorizzata.
– Che è quella faccia? Non ti piace l’idea di un altro po’ del totano crudo di Renatino?
Renato si avvicina al tavolo. Prende il telefono.
– E come lo sblocco ‘sto telefono?
– Ho visto il pin. – dice Linda. – Mentre era seduto vicino a me. L’ho memorizzato. La voce sale, mischia speranza ed entusiasmo. Come se quell’idea potesse restituirle il figlio.
– Che troia che sei. Dimmelo.
– Due uno zero due sei quattro.
Renato spinge i tasti e sblocca il telefono.
– È scarico. Devo controllare non abbia caricato i file su qualche clod. Claud. Come cazzo si dice?
Guarda Linda, ancora sul letto. Il sole si è alzato e la camera è illuminata a giorno.
Lo schermo diventa nero e una rondellina avvia lo spegnimento.
Renato bestemmia. Poi si rivolge a Linda.
– Guarda la Madonna se devo stare appresso a queste stronzate. Fottevo telefoni alle scuole medie. E ora qua a cancellare video porno per quel deficiente di Mauro da un telefono che mi si spegne in mano. Mi serve un cazzo di carica batterie. Quel pezzo di coglione di Mauro ce l’avrà.
Si guarda intorno, torna vicino al letto e si siede.
– Vedi. Non è che mi sta sul cazzo Mauro. O gli Chef come lui. Mi fanno fare un fracco di soldi. Gli dico. Mauro. Nel tuo ristorante di merda mettici l’acqua xy, che ne so, pensane una che non sappia di piscio e che ti puoi rivendere a otto euro. Acqua capisci? A otto euro… Mettici quella. Poi quelli dell’acqua a fine mese mi mandano due spicci, a me, a Renatino. Per il disturbo. Che sommati a tutte le volte che ficco nel culo a questi venduti qualche prodotto, gli spicci diventano somme capricciose. E pure le troie poi gli trovo. E la bamba. E gli pulisco il culo quando si cagano sotto. Come questa volta con Mauro. Cazzo ti guardi?
Linda ora lo fissa con disprezzo come se avesse ritrovato parte delle forze.
– Tu non mi guardi così. Con quelle due fessure gonfiate come zampogne. Girati. Mettiti a pecora.
La donna non muove un muscolo. Solo con il volto accenna un no. Muove il collo con forza, noncurante del dolore pregando di non toccarla.
– Le botte non ti sono bastate?
Renato le monta sopra, la spinge con il corpo verso il materasso. Le mani dell’uomo premono sul letto, sono vicine a Linda. Lei le guarda e china il capo.
Il morso più violento che potesse immaginare di dare nella vita. Morde il dorso della mano di Renato, stringe forte, più forte che può finché un pesante pugno sulla nuca non le fa perdere i sensi.
– Io questa troia devo ammazzarla. Se non mi rompesse il cazzo scioglierla dentro un bidone di acido.
La mano gli sanguina. In cucina apre l’acqua, il freddo che scorre sulla pelle lo ristora, l’acqua cristallina si colora di rosso roteando verso lo scarico.
Il bip di un messaggio lo distrae.
@adrian scrive: Trovato capo. Lo stanno arrestando.
Renato toglie veloce la mano da sotto il getto, la sgrulla si asciuga sui pantaloni mentre con l’altra mano chiama Adrian.
– Capo.
– Albanese di merda. Che cazzo mi mandi messaggi. Non mandare messaggi. Telefona. A me mi devi telefonare e basta.
– Ah, capo. Scusami. L’uomo lo stanno arrestando.
– Come lo stanno arrestando? Dimmi. Sei sicuro?
– Sì. È lui di sicuro capo. Carabinieri lo stanno portando via.
Renato attacca. Con entrambe le mani spinge alcuni tasti, in rubrica trova la persona che ha in mente di chiamare e preme ok.
Il telefono squilla. Non risponde nessuno.
Renato rimane in attesa. Poi, al settimo squillo la voce di un uomo anziano lo ingrazia e gli fa tirare un sospiro di sollievo.
– Comandante che piacere. Come sta? Suo figlio tutto ok?