I rapporti umani sono fatti di complicati compromessi con il bisogno di possesso. Questo è il leitmotiv di questi racconti, alcuni molto lunghi e articolati, altri brevi, poco più che semplici bozzetti, ma tutti all’insegna del desiderio potente di possedere l’oggetto che ha suscitato quel desiderio.
Ogni volta che amiamo qualcosa o qualcuno lo facciamo con feroce intensità. Così non c’è alcuna distinzione tra il desiderio di possedere una casa fino a farla esplodere per non cederla ad altri, e rivendicare un regalo di nozze della migliore amica del marito, che però, per motivi di gelosia, al matrimonio non è stata invitata, e la notizia del mancato invito è arrivata solo dopo che il regalo, una lampada fatta con oggetti della proprietaria, tra cui un suo dente da latte, era già stata faticosamente recapitata agli sposi. La fine dell’amicizia e delle partite a tennis è imposta come condizione della futura felicità coniugale allo sposo, che dopo molti ripensamenti, accetta con una sorta di stanchezza, convinto che alle soglie dei 50 anni, una sistemazione emotiva tranquilla sia più importante del rivendicare un’amicizia con una donna che scatena le ansie della moglie. In quell’amicizia e nelle loro partite a tennis c’era un’ansia di libertà che, evidentemente, per Weston, non ha la priorità, non più, quando viene costretto a scegliere.
“Noi ci diciamo solo cose belle” osserva Frisk, quando Weston le dice che in verità, oltre che al matrimonio, non è più invitata alla vita della coppia e che quella partita è l’ultima occasione che hanno per parlarsi.
Essere tuo, essere suo. La dinamica strutturale delle relazioni si disfa e si ridisegna quando in gioco c’è un nuovo equilibrio. Chi ha ragione, se ci si vuole schierare in questa sorta di sfida io scelgo Frisk, che abbandona l’amicizia con dolore, ma non senza dignità. Trova altre persone con cui giocare a tennis e riconosce l’insicurezza pura di Paige, la moglie, soddisfatta e meschina.
Se lei ti amasse non ti negherebbe il tuo momento di libertà da lei, considerando che siamo solo amici e giochiamo a tennis.
Forse se l’amore comportasse anche la capacità di accettare che l’altro ama, in maniera diversa, altro da noi. Ma se il nostro bisogno è fatto di proprietà non condivisa allora non cediamo su quanto mette in pericolo il confine tra coppia e individualità.
Una donna americana, dopo molti anni di permanenza a Belfast, decide di tentare la carriera giornalistica in Thailandia e di subaffittare il suo appartamento a una conoscente. Quando però, per una serie di incomprensioni, le due si troveranno, per poche settimane a dividere casa, piomberà in una feroce ansia. Insomma la convivenza forzata è di quelle peggiori, come durante il periodo universitario, spazi comuni occupati e lasciati in disordine, oggetti personali usati senza permesso, pile di stoviglie lasciate in ammollo nel lavello, biancheria sporca in bagno, affitto in ritardo. A poco a poco le discussioni tra le due fanno emergere l’inadeguatezza dell’occupante legittima, Sara, che la ragazza in subaffitto, Emer, le fa sulla scrittura, sui poster che Emer giudica razzisti e poco sensibili sulla lotta fratricida che ha dilaniato Belfast.
Cosa può saperne in poche settimane di permanenza l’intrusa che ha occupato i suoi spazi, che sembra destinata a sostituirla nelle sue amicizie, persino, nel suo lavoro al giornale. Così immagina Sara dopo una conversazione telefonica origliata. La rabbia dello spossessamento subito è tale che decide di rinunciare al nuovo impiego in Thailandia, alla prospettiva di un nuova vita, e restare intrappolata in un umido e piccolo appartamento di una cittadina un po’ chiusa, retriva e provinciale, pur di non cedere la sua vita all’usurpatrice. Ma poi le cose saranno diverse e sorprendenti quando Emer, invece di restare a Belfast, andrà a insegnare inglese all’Università di San Pietroburgo.
Due genitori cercano di spingere il figlio trentenne, Liam, a uscire di casa e costruirsi un futuro lavorativo. Ma lui è troppo delicato per il mondo, e sta così bene a casa dei genitori, immerso nella sua creatività che consiste nel disegnare tombini (naturalmente non retribuito). L’ultimo disperato tentativo della madre di dargli una tenda per costringerlo a cercarsi un altro posto non ha proprio l’effetto desiderato. I vicini, attratti dalla protesta del figlio, avvisano le tv locali che lo dipingono come un ribelle, vittima del sistema familiare, dove la madre diventa crudele nel suo aut aut. Ai genitori, alla fine, non resta che riaccoglierlo, con molte perplessità, in casa, insieme alla progressista fidanzata incinta e pure lei disoccupata per scelta. Su di loro graverà occuparsi della nuova famiglia.
Questa storia di fare qualcosa nella vita è un’idea sbagliata. Tuo figlio fa dei ragionamenti profondi. La tua vita sei tu. Non è al di fuori di te. Non puoi farne qualcosa, come un tostapane o un tavolo. Liam è già, capisci cosa intendo? Non c’è bisogno che diventi nulla. Tutta questa retorica dell’obiettivo, di pensare al futuro, è così che la maggior parte della gente si dissocia. Tipo, trasferiscono una parte di sé in uno spazio-tempo che neppure esiste, e che forse non esisterà mai, invece di vivere qui e ora. È questo il guaio del sogno americano: che è un sogno. Io e Liam siamo svegli.