La questione che vi voglio proporre oggi – Quando scrivi una scena di un tuo romanzo, prima la pensi e poi la scrivi o la pensi scrivendola? – forse è una questione di lana caprina, è un po’ come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina, ma stimola alcune riflessioni importanti. Allora, proviamo a rispondere. È una questione complicata scindere l’idea dall’azione nella scrittura; tanto per cominciare io ci credo poco nella musa ispiratrice che ti guida e ti illumina nella creazione. Io credo in cose più pratiche e più concrete; per esempio, credo molto, moltissimo, nelle fasi preliminari alla scrittura: quelle della documentazione, ch’è fatta di ricerca e di sopralluoghi e di incontri e di analisi dei materiali raccolti. Ma con tutta la documentazione, quasi sempre quando ti metti finalmente a scrivere hai nella mente soltanto poche idee generiche di partenza che poi si precisano poco a poco scrivendo. A me i pensieri migliori su un certo personaggio, su una certa scena, mi vengono sempre mentre scrivo, sono i personaggi che reclamano quella certa svolta narrativa, quella certa soluzione drammatica. La pratica della scrittura (non solo scrittura narrativa, anche critica, anche saggistica, anche giornalistica) aiuta a pensare, a fare chiarezza nel cervello, a creare delle priorità… Poi certo nella carriera di uno scrittore può capitare di trovarsi in un particolare periodo di entusiasmo o fibrillazione emotiva/creativa che ti viene tutto più facile del solito, a me è capitato con il Branco, che scrissi in soli tre mesi… ma furono fondamentali i sopralluoghi preliminari e certe feconde letture e conversazioni… Il libro non lo scrivi solo mentre scrivi!… per esercizio vi propongo di inventarvi un dialoghetto fra due professori che litigano per una questione di principio, per una questione teorica, decidete voi quale… i due possono anche essere due palloni gonfiati che dicono dotte sciocchezze… A vostra scelta. Bye bye amici.
“Underjungle” di James Sturz – traduzione di Ilaria Oddenino (Blu Atlantide)
Una struggente, lirica meditazione sui confini delle specie viventi, sulla perfezione del contatto tra creature e il dolore devastante di perdere quella felicità perfetta.