“Le divoratrici” di Lara Williams (Blackie Edizioni)

Roberta scopre di avere una fame insaziabile, non solo di tutto il cibo che riesce a ingurgitare, ma di vita

Diventato il libro dell’anno nel Regno Unito, esce in Italia questa storia potente, incentrata su quale posto spetti alle donne nel mondo e su come, alcune, trovano questo posto nel cibo e nella compagnia sodale di altre donne.

Roberta è una ragazza timida e insicura, ha dietro di sé una storia di abbandono da parte del padre, che non vede da quando aveva 7 anni, e che a un certo punto, inspiegabilmente, comincia a mandarle delle mail da N.Y. raccontandole le cose minute della sua vita, tipo i gatti che si azzuffano sul pavimento. Cresciuta con una madre indipendente e con un cagnolino di nome Giovanna D’Arco, arriva con il suo senso di inadeguatezza e di solitudine al college a Bristol, cercando di piacere ai suoi coinquilini. Magra, esile come un fuscello, scopre il sapore esaltante dei cibi, della creatività culinaria e ci si dedica con una passione che supera il suo amore per la filosofia.

Molte cose della vita di Roberta ci saranno svelate nel corso della narrazione, quello che è certo è che il suo approccio sentimentale e sessuale con gli uomini non è affatto felice. La sua prima volta è traumatica e lei non ha il coraggio di   denunciare il ragazzo che l’ha stuprata, né di parlarne apertamente. In seguito incontra uomini complicati e poco gentili, fino a smettere del tutto di investire in relazioni amorose. Una parte di lei sente di meritarsi la poca considerazione e la brutalità che le viene riservata, e preferisce sempre scappare piuttosto che chiedere spiegazioni.

Alla soglia dei 30 anni ha un lavoro poco impegnativo e poco interessante come social media manager in una piccola casa di moda, conserva intatta la sua passione per il cibo e si aggira svagata attraverso i giorni. Quando, al lavoro, conosce Stevie, ragazza libera e disinibita, e va a vivere con lei per dividere l’affitto, scopre che l’amicizia femminile è un universo soddisfacente. Insieme a Stevie decidono di fondare il Supper Club, un club solo per ragazze/donne che devono rispondere, per essere ammesse, a una serie di domande tra cui “di cosa hai paura?”. Tutte condividono storie di violenze fisiche o verbali, tradimenti o vite dalle quali sono scappate, come Monica che ha deciso di fuggire da una vita familiare dopo aver visto l’abbrutimento emotivo della sorella del suo ragazzo con marito e figlie urlanti e piagnucolose. Andrea è stata picchiata da uno sconosciuto mentre faceva jogging. Lina è stata tradita dal marito.

All’interno del Supper Club si mangia fino a scoppiare, si usano cibi dimenticati o buttati nei cassonetti, e sopratutto ci si lascia andare ad ogni impulso di urla, di danza, di rivelazione affettuosa che dovesse arrivare. Ogni energia femminile deve fluire libera, non più intrappolata da vestiti e convenzioni. All’inizio le partecipanti si riuniscono in luoghi affittati per l’occasione ma poi cominciano a introdursi clandestinamente in ristoranti o grandi magazzini.

Roberta scopre di avere una fame insaziabile, non solo di tutto il cibo che riesce a ingurgitare (in un pasto in cui si mescolano dolce/ salato, senza nessun ordine preciso che non sia il desiderio delle commensali), ma di vita, di tutta la vita che si è negata, o che le hanno negato. Si interroga spesso su quando riuscirà a soddisfare il desiderio, che per sua stessa natura, è infinito. Finché si ha fame si è vivi, perché quando cominci a morire la fame è il primo istinto che si perde.

Quando ritrova su un sito di incontri un suo vecchio compagno di Università e va a vivere con lui, interrompendo l’equilibrio delicato e perfetto con Stevie, è allora che deve cercare di incollare insieme quella che viene definita normalità e esplorazione selvaggia legata al Supper Club. I rapporti umani che ci toccano davvero non sono poi sempre quelli che la società è disposta ad accettare.

L’espandersi del suo corpo le dà una sensazione di solidità, come se mangiare e fare sesso senza limiti segnassero la rottura dei confini del mondo sicuro in cui viviamo di giorno, prigioniere e carceriere insieme della nostra essenza.

Chi o cosa sia una donna viene definita spesso dal suo peso, dal suo aspetto, dai vestiti che indossa, e dall’uomo che ha accanto. Le società occidentali hanno costruito imperi economici sul corpo delle donne, e più ancora sul loro desiderio di essere perfette. A questo imperativo Roberta e le sue amiche decidono di sottrarsi, almeno durante le sessioni del Supper Club. Ma realmente siamo pronte a rifiutare l’idea che, intorno ai 30 anni, dobbiamo riprodurci, trovarci piccoli hobby che non diano fastidio al compagno, e strutturare i nostri desideri in base ai bisogni della “famiglia”?

E cosa si può fare per sottrarci al nostro stesso, impietoso sguardo, se non accettarci? Stevie ha le idee molto chiare quando invoca la libertà di avere un menage parafamiliare che non comprende marito né figli, ma solo qualcuno a cui dormire accanto e che aspetti il tuo ritorno a casa, senza pretese.

E Roberta sa che non è facile, che i corpi femminili, anche i più esili, sono ingombranti. Però sono parte di noi, anche se non ci definiscono completamente. Una ridefinizione della fedeltà a se stessi, alla coerenza e al bisogno di acquisire profondità emerge dal libro insieme a domande, che sono più interessanti delle risposte. O meglio. Ognuna di noi ha una risposta che è privata e rivelabile solo alle orecchie adatte ad ascoltare.

– Il Supper club in un certo senso è un club culinario, ma il punto non è soltanto il cibo. È il modo in cui affermiamo noi stesse in uno spazio. In diversi spazi. Il punto è rivendicarne di più.

– E come fate?

Indicai il mio piatto. Bè – dissi – Mangiamo. Mangiamo quanto vogliamo. Diventiamo più grandi. Occupiamo spazio con i nostri corpi in un certo senso.

– Oh – disse lui. Non lo sapevo. Non sapevo che c’entrasse anche questo. Però  continuo a non capire perché dover entrare di nascosto. Che cosa c’entra quello con l’essere grassa?

Grassa. Grassa. Mi concentrai sul respiro.

– È tutto collegato. Ti ricordi quando ti ho detto che rovistiamo nei cassonetti? Si tratta sempre di esistere in spazi che la società ci proibisce. E se in realtà tutti gli spazi fossero restrittivi, tutto il mondo fosse progettato per inibirci?

Cosa succede se smetti di rimpicciolirti costantemente tutto il tempo, e invece ti ingrandisci? Forse, per trovare lo spazio necessario a ingrandirti, devi prendertelo.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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