Scelta dei nomi e nomi parlanti

Nomen omen?

Anche la scelta dei nomi (e nomignoli) che diamo ai nostri personaggi, cari amici, cari colleghi scrittori, ha la sua importanza nella caratterizzazione del personaggio. I cosiddetti “nomi parlanti” sono quei nomi che descrivono o suggeriscono un certo carattere del personaggio o il suo destino. Nomen omen, dicevano i latini, e cioè il destino è già contenuto nel nome, il nome è un presagio. La storia della letteratura (antica e moderna) è piena di nomi parlanti, usati anche in una chiave satirica. Si pensi alle commedie di Plauto, dove ai personaggi dei servi furbi, per esempio, l’autore latino assegnava nomi che più eloquenti non potevano essere: Psedolo (che vuol dire bugiardo), Tranione (che vuol dire trappola) ecc. Oppure prendiamo i classici Promessi sposi, dove è tutto un fioccare di nomi parlanti: Lucia viene da luce, che allude alla luce divina che le illumina la via, la Provvidenza e bla bla bla. Renzo da San Lorenzo, che viene martirizzato sui carboni ardenti, fino a Azzeccagarbugli, il nome più parlante di tutti, che è notoriamente il soprannome di un avvocato, così chiamato dai popolani di Lecco per la sua capacità di sottrarre dai guai le persone potenti con sistemi disonesti. Italo Calvino sceglie allegoricamente il nome Palomar ispirandosi a un noto osservatorio astronomico californiano, essendo quella dell’osservazione la principale attività del suo eroe, come spiega nella prefazione al romanzo Palomar appunto. Ne Il nome della rosa Eco chiama il monaco cieco, profondo conoscitore dei segreti del monastero, e in passato bibliotecario, lo spietato Jorge da Burgos, responsabile di molte morti nel monastero: il riferimento-omaggio è allo scrittore argentino Jorge Luis Borges.

Ma useremo dei nomi parlanti pure se chiamiamo, per fare gli spiritosi, Giorgio Pratica un impiegato di banca, de Magistris un avvocato o un magistrato, il nome Francesco Righello per un geometra o un architetto, Poltronelli per un dormiglione, Gargantuelli per un mangione, Sbornietti per un beone… A me personalmente questo tipo di gioco sui nomi non mi piace, non mi diverte, anche se forse in qualche storia leggera, magari per bambini, può essere un criterio valido.

Possiamo scegliere di chiamarlo solo con una lettera, come la K. dei personaggi kafkiani. Alcuni scrittori usano questo espediente in qualche caso. In La caduta Friedrich Dürrenmatt chiama i personaggi semplicemente A, B, C, D, E, ecc. per dare l’idea che sono indistinguibili l’uno dall’altro per la loro pochezza e stupidità. Andava di moda usare questo criterio spersonalizzante e anti-romanzesco negli anni sessanta e settanta, gli anni della “morte del romanzo” e delle neoavanguardie. Io l’ho sempre trovato fastidioso.

Ma possiamo scegliere un nome anche semplicemente per la sua musicalità, per come si lega ai nomi degli altri personaggi, ricordando che esiste per i cognomi e per i nomi un problema di pertinenza storica e geografica. Il mio cognome per esempio ha origini venete, e mio nonno effettivamente proveniva dal Veneto. Insomma evitiamo di chiamare Francesco Brambilla un siciliano, se non abbiamo valide ragioni per farlo. Quanto ai soprannomi, sentite che ne pensa lo scrittore Giulio Mozzi, che ha dedicato alla questione dei nomi dei personaggi un gustoso e sapiente studio, pubblicato in rete: “I soprannomi sono spesso stucchevoli, – scrive Mozzi – proprio perché o sono eccessivamente parlanti, o perché chiedono irresistibilmente una pedissequa spiegazione. D’altra parte, le spiegazioni vengono spesso immediatamente dimenticate dal lettore”.

L’importante è che ci sia un criterio nella scelta.

Il nome va ponderato attentamente insomma. Perché il lettore non è un gonzo a cui puoi dare una sbobba qualunque, per così dire, una cosa generica a cui non può credere fino in fondo, con tutta la sospensione dell’incredulità che vorrà accordarci. A me capita di cambiarli, i nomi, durante la scrittura o alla fine, se la scelta non mi convince per qualunque motivo. Alle volte mi capita di dare sbrigativamente il nome della persona reale a cui mi sono ispirato, o un nome qualunque, purché mnemonico, sapendo che li cambierò in corso d’opera o alla fine. Oggi cambiare il nome a un personaggio con la funzione di sostituzione di Word è molto semplice e veloce. Un tempo, prima della scrittura elettronica, era ben altra cosa, potete immaginare, e ci si pensava bene prima di farlo, se non era proprio indispensabile.

Insomma, pensateci bene a come scegliere i nomi dei vostri eroi, non dateli per scontati! Alla prossima!

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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