“E più la memoria crede di essere umiliata, più il futuro torna a essere un campo d’azione”.
Annie Ernaux, Gli anni
Pensiamo che la memoria sia soltanto quanto già abbiamo vissuto, quanto ci hanno raccontato, quanto ormai è andato e non più vivibile. Non è così. La memoria non è momenti e immagini e sensazioni che archiviamo e ci lasciamo alle spalle, non soltanto. Viviamo di memoria e con la memoria, perché di memoria sono fatte le nostre giornate. Come sapremmo come organizzare la nostra vita se non usassimo la memoria, cosa sarebbe delle piccole azioni quotidiane – usare il pc, fare andare la lavatrice, passare l’aspirapolvere, cucinare, andare al lavoro o in bicicletta – se non avessimo la memoria a suggerirci come quelle azioni vanno fatte? E poi la memoria ci fa quel che siamo, si declina nei nostri pensieri, nelle nostre scelte, nel nostro modo di affrontare la vita e il mondo. Nel nostro modo di essere. La memoria è il puntello sul quale appoggiamo il presente, e senza la quale il futuro non potrebbe essere. A volte però facciamo della memoria la complice del nostro star male; avviene quando le affidiamo il compito di essere custode dei nostri pensieri più cupi, dei livori e dei rancori, quando la usiamo per rinfocolare dolori, per costringerci in un sentire che ci soffoca e ci impedisce di volgere lo sguardo in alto. Liberiamo la memoria da questa umiliazione, recuperiamo e buttiamo fuori, una volta per tutte, scrivendo anche, ciò che ci fa male, e la memoria potrà avere il posto che davvero le compete, potrà essere la base sulla quale costruire il futuro. Il nostro destino è fatto di memoria. Quella buona. Sta a noi farle spazio.