Nel rovistare nella miseria del mio animo, pesco il desiderio di tradurre ciò che mi circonda in freddo gelato: opere letterarie, cinematografiche o musicali, emozioni. Non c’è calcolo, bilanciamento d’ingredienti che possa convincermi che sia meglio il raziocinio di un perfetto zabaione alla delizia dell’arte tradotta in gusto.
Prendiamo l’amore. Quello di Ivano Fossati che spezza le vene nelle mani. Viscerale, potente, corposo. Un cioccolato piccante che esplode in bocca e apre il cuore a metà, consuma il palato mentre mescola il sangue col sudore. È la costruzione di un amore, come di un gusto.
Cresce lento e inesorabile l’amore e non ripaga del dolore dice Fossati, scioglie il sangue che scivola via nelle arterie, è miele al lampone che impreziosisce un succoso sorbetto di fragola che pulsa di desiderio. L’amore è lì che si avvinghia al freddo per ogni inverno da passare, mentre la lingua fonde il gusto ed emoziona l’animo attraverso le papille gustative.
Il piacere riscalda e l’amore si fa sempre più vicino al cielo, mentre si consuma, s’insinua la consapevolezza che il sapore si affievolirà; le papille sono sature, non percepiscono più alcun gusto. Quella potenza iniziale di aromi è affievolita, resta un bianco fior di latte su cui disegnare annoiati; lo impreziosiamo di croccanti amaretti, capricciose gocce di cioccolata, aspre scorze di limone ma inesorabile piove via tutta la gioia di cento sere.
I baci promessi diventano promesse non mantenute. Si dice l’ho fatto per fare, si dice così per non morire. Ecco una crema difettosa, dal vuoto nero di tartufo estivo che tutto cancella, tranne la certezza che ne sia valsa la pena.
Dentro la lampada
Jean Cocteau e la villa ‘tatuata’
Mare, muri bianchi e silenzio: il luogo perfetto per riposare. O forse no?